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Beck, appunti sull’Europeo – 3

Punti, spunti e appunti sull’Europeo itinerante dopo le luminarie dei quarti fatali a un’altra grande.

Punti, spunti e appunti sull’Europeo itinerante dopo le luminarie dei quarti fatali a un’altra grande.

1) Per carità, la caviglia di Kevin De Bruyne e l’assenza di Eden Hazard. Ciò premesso, il Belgio ne ha sempre una. Contro l’Italia, soprattutto. Nel 2016 venne inchiodato da Antonio Conte, in onore del quale stappammo una bottiglia di «contismo». Cinque anni dopo, ecco Roberto Mancini e i suoi prodi: da 2-0 a 2-1. Noi, profondamente diversi; loro, quasi gli stessi. E gli schemi: 3-5-2 a Lione, 4-3-3 a Monaco. Con o senza Radja Nainggolan, la morale non cambia: ci soffrono.

2) Avete presente il gol di Nicolò Barella? E’ introdotto da uno svenimento di Ciro Immobile, cazziato in diretta da Thomas Vermaelen, testimone oculare dell’ammuina. Così facendo, lo stopperone belga perde per un attimo il controllo dell’area e, soprattutto, la visione di Barella. Sono secondi, pochissimi secondi. Però letali. Fermo restando Immobile. Che, al gol, si alza come le sacre scritture dicono che fece Lazzaro e corre giulivo verso il sarcasmo social di Gary Lineker.

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3) Che rabbia e che malinconia, l’ennesimo infortunio di Leonardo Spinazzola. Per me, la pedina chiave dell’intero scacchiere. Le sue volate (e la sua «parata» su Romelu Lukaku) sono state preziose, cruciali. Ad Amsterdam, in Ajax-Roma di Europa League, aveva occupato la corsia sinistra e demolito chiunque volesse opporsi alle sue invasioni. D’improvviso, il crac muscolare. A Monaco, il tendine d’Achille. A 28anni, scuola Atalanta, deve ricominciare. E’ il destino che gli ha riservato il destino. Fragile e audace, esterno moderno «a tutta fascia» in un’epoca che premia coloro che, ai miei tempi, si chiamavano terzini e ali. Spinazzola ne è la splendida sintesi. Terzino-ala. E’ il momento di ringraziarlo, è l’ora di raccoglierne le lacrime. Sono i guerrieri come lui che gli dei aspettano al varco e noi, impotenti, subito dopo: sempre, e sempre più con stima e riconoscenza.

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4) Non è una Spagna che ruba l’occhio. Al massimo, gli episodi. Certo, Luis Enrique coltiva idee, non dogmi, e Sergio Busquets è un Jorginho di onorato servizio attorno al quale si muove un palleggio che ricalca il passato senza riproporne le leggendarie magie.

Per il quarto europeo consecutivo affronteremo la Spagna (foto: Instagram sefutbol)

5) Dieci gol fra Slovacchia e Croazia, eppure se c’è un reparto che lascia perplessi, è proprio l’attacco. Di cui Alvaro Morata riassume il piglio ondivago sotto porta. Le furie si palleggiano addosso nella speranza che l’avversario si appisoli, con il rischio di cedere agli stessi sbadigli. Come nel secondo tempo di San Pietroburgo. La Svizzera aveva cambiato marcia e, dopo il pareggio di Xherdan Shaqiri, chissà cosa sarebbe successo senza il rosso a Remo Freuler.

6) Gli inglesi, questi «conosciuti». L’unica nazionale senza gol al passivo. E non è che, in difesa, abbiano dei mostri. Gironi da cassa di risparmio, storica doppietta alla Germania e 4-0 fin troppo comodo alla«fu» Ucraina di Andrij Shevchenko. Si giocava a Roma, nessun assembramento: almeno in campo. Gareth Southgate tira dritto. Quarto in Russia, ha promosso un’allegra brigata di giovani che guarda a Harry Kane come a un papà. Zero reti nella fase introduttiva, già tre fra ottavi e quarti. Ricorda, a spanne, la parabola di Pablito Rossi in Spagna. «Il paziente inglese» (da Gino Cervi, virtuoso dei calembour).

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7) A ogni successo della Danimarca si abbina la parola «favola». Ha un CT che nessuno conosce, Kasper Hjulmand, anche se presto salteranno fuori biografi non meno intimi degli amici intimi.

8) Fatte le debite proporzioni, un po’ come Hans-Dieter Flick: ex braccio destro di Joachim Löw, carro attrezzi del Bayern, mai citato prima e, dopo i trionfi bavaresi, trattato come un piccolo genio sul quale molti sarebbero stati disposti a giurare ma non ne parlavano esclusivamente perché pensavano che tutti ne fossero al corrente. Preferisco l’esterno destro di Joakim Maehle: non c’è bisogno di fidarsi.


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Fonte immagine di copertina: UEFA Euro 2020

Di Roberto Beccantini

Nato a Bologna il 20 dicembre 1950, giornalista professionista dal giugno 1972. Ha seguito nove Mondiali di calcio, da Argentina 1978 a Sudafrica 2010; otto campionati d’Europa di calcio, da Roma 1980 a Austria e Svizzera 2008; tutte le finali di Champions League dal 1992 al 2010 più altre finali sparse. È stato giurato italiano del «Pallone d’oro» e collabora con il “Guerin Sportivo”.

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