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Le principali squadre di calcio che non esistono più

Il ciclo della vita è sempre stato scandito da una serie di momenti che sono rimasti immutati da sempre: si nasce, si cresce, ci si evolve, si muore. Una legge che vale sia nel concreto sia nell’astratto, sia nell’organico sia nell’inorganico, sia per gli esseri viventi sia per le loro idee, concetti e creazioni. Al pari degli esseri umani, dei nomi e delle gesta, anche le loro creazioni sono destinate ad essere cancellate dal fiume della storia. Ben lungi dall’evocare il Penitenziàgite de Il nome della rosa di Umberto Eco o il troisiano “Ricordati che devi morire“, in realtà questo breve discorso serve a far capire che anche in ambito sportivo prevalgono le stesse leggi che animano la vita. Così capita di conoscere squadre di calcio che non esistono più quasi improvvisamente.

Società che si sono rese note per avvenimenti storici irripetibili, per giocatori leggendari e traguardi unici, di cui molti hanno sentito parlare, finiscono per scomparire nel nulla, come se nulla fosse mai successo. Come Sisifo, Sottoporta ha deciso di combattere contro l’ineluttabile forza del tempo, cercando di riconquistare la memoria di squadre dimenticate che hanno scritto pagine indelebili nel grande libro della storia del calcio.

Il nostro viaggio inizia in Africa, nello specifico nella città di Bloemfontein, dove una volta c’era il Bidvest Wits. Questa squadra era stata fondata nel 1921 dagli studenti della Wits University di Johannesburg. Non a caso i giocatori erano soprannominati “The Clever Boys” o “The Students” proprio per il forte legame con gli studenti universitari.

I Clever Boys hanno giocato in diversi tornei e leghe inferiori prima di essere promossi nel 1975 nella National Football League, l’antesignano dell’attuale Premier Division. In bacheca vantano due Nedbank Cups, vinte rispettivamente nel 1978 e nel 2010, e tre MTN 8 Cup conquistate nel 1985, 1995 e nel 2017. Quest’ultima edizione è ricordata in particolare poiché i The Students batterono il Mamelodi Sundowns fresco campione della CAF Champions League.

Il Bidvest Wits raggiunge il suo apice nella stagione 2016-2017, quando conquista il primo e unico campionato nella storia del club. Un successo sofferto, ottenuto con soli tre punti di vantaggio sempre sul Mamelodi Sundowns. Si ricordano in particolare il tecnico Gavin Hunt, in carica per sette anni consecutivi e foriero dei successi maggiori, e Peter Gordon, che detiene il record di presenze (415) e di reti segnate (55) con il club.

Purtroppo non tutte le storie hanno un lieto fine. Al termine della stagione 2019-2020, il club di Bloemfontein raggiunge un accordo con il TTM (Tshakhuma Tsha Madzivhandila) per la cessione dei diritti e sparisce definitivamente. Un caso di particolare nel gruppo di squadre di calcio che non esistono più, ma anche una pagina di storia recente del calcio sudafricano definitivamente conclusa.

Restiamo sempre in Africa, ma ci spostiamo in Nigeria per parlare di una squadra che può fregiarsi dell’onore di aver affrontato come avversario un certo Pelé. Stiamo parlando del Racca Rovers (anche noto come Raccah). Chiamato inizialmente Darma United, era originaria di Kano, la seconda città più grande della Nigeria. Il nome della squadra è stato cambiato quando un famoso imprenditore di Kano decise di investire nel club. Raccah, difatti, era il suo cognome e Raccah Rovers serviva a sottolineare il fatto che fosse lui il proprietario del club.

I Rovers vinsero una sola Nigerian Premier League, proprio nel 1978, anno dell’amichevole contro Pelé. La stessa storia di questa sfida è legata ad un aneddoto interessante. In realtà, la leggenda brasiliana non avrebbe dovuto giocare, dal momento che si era appena ritirata. Nonostante ciò, accompagnava comunque per ragioni di sponsorizzazione il Fluminense, invitato per un tour di amichevoli nel paese africano. Nella partita precedente il Flu aveva affrontato la Nazionale nigeriana, la cui maglia Pelé ha indossato in quell’occasione per 35 minuti. Nella sfida successiva, disputata a Kaduna il 28 aprile contro i campioni nazionali del Racca Rovers, le autorità locali chiesero al 37enne di scendere in campo. Sebbene intenzionato a declinare l’invito, la voce di una sua possibile presenza si diffuse in maniera incontrollata, a tal punto che il Capo della Polizia sollecitò Pelé a scendere in campo per questioni di ordine pubblico!

Il Raccah è rimasta l’unica squadra nigeriana del nord a vincere un campionato fino al 1994. L’anno successivo raggiunse la finale di Nigerian Federation Cup e i quarti di finale della Coppa dei Campioni africana, perdendo contro i campioni del Senegal dell’US Gorée. Le ragioni per cui il club ha cessato la sua attività non sono ben chiare. Ancora oggi, però, nessun’altra società ha raccolto l’eredità del Racca Rovers, che è destinato a rimanere nel limbo delle squadre di calcio che non esistono più a tempo indefinito.

Cambiamo ora continente e voliamo negli Stati Uniti, nello specifico nella West Coast. Ci troviamo a Los Angeles per parlare di una squadra che ha visto giocatori come George Best e Johan Cruijff vestire la propria casacca: i Los Angeles Aztecs. Fondati nel 1973 e attivi dall’anno successivo, avevano un solo obiettivo. vincere. E anche far capire ai New York Cosmos che fossero a tutti gli effetti una contendente per il titolo. Nella loro stagione d’esordio, infatti, vinsero la NASL (North American Soccer League) senza troppa fatica.

Una favola che ha acquisito ancora più magia quando Elton John, nel 1976, acquisì il 25% delle quote del club e portò in squadra nientemeno che George Best nel pieno della sua maturità calcistica. Nonostante la qualità del giocatore, il massimo che riesce ad ottenere nei suoi tre anni a Los Angeles fu una semifinale di NASL nel 1977. Gli Aztecs allora alzano ulteriormente l’asticella. Nel 1979 assumono come allenatore Rinus Michels; insieme a lui sbarca un suo connazionale, un certo Johan Cruyff. Dopo le esperienze di gran successo ad Amsterdam e a Barcelona, il fuoriclasse olandese vuole ripetersi anche negli States. Neanche il loro arrivo giovò, però, alla causa degli Aztecs, che chiusero quell’anno con i quarti di finale di NASL.

Nato con l’ambizione di dominare il calcio nordamericano, evolutosi più come storia di un novello Icaro, il club si avviò mestamente verso il declino. Nel 1981 i Los Angeles Aztecs cessano l’attività agonistica a causa della scarsa considerazione dei tifosi e dei pochi introiti generati. Nel 1985 entra definitivamente nel novero delle squadre di calcio che non esistono più, lasciando tanti interrogativi su quello che sarebbe potuto essere, ma non è stato.

Non ci spostiamo tanto lontano da Los Angeles. Rimaniamo sempre in America, questa volta quella meridionale. Per la precisione siamo a Caracas, Venezuela, dove nel 1948 prende avvio una storia dal retrogusto italiano, quella del Deportivo Italia. Un club che non è stato come tutti gli altri, visto che dopo appena 12 anni gli azules, chiamati così poiché la loro divisa ricordava quella dell’Italia, sono diventati la squadra più importante del paese.

Le dinamiche che hanno portato alla fondazione della squadra coincidono con un fenomeno prettamente sudamericano, intrecciato con le migrazioni dall’Europa che hanno riguardato il continente e la rivendicazione da parte della popolazione immigrata delle proprie origini e della propria identità. Mentre i portoghesi fondano il Deportivo Portuguesa, i galiziani il Deportivo Galicia e gli spagnoli l’Union Deportiva Canarias, la comunità italiana di Caracas costituisce nel 1948 il suo club, per l’appunto il Deportivo Italia. Un club che non è stato come tutti gli altri, dato che gli azules, chiamati così poiché la loro divisa ricordava quella dell’Italia, erano destinati a divenire presto la squadra più importante del paese.

In realtà inizialmente la società aveva raccolto ben pochi successi, finché, quasi per caso, nel 1958 fu trovata e acquistata da Mino e Pompeo D’Ambrosio. I due fratelli daranno vita all’epoca d’oro del club e ad un’era che porta il loro nome. Nel 1961 il Deportivo Italia conquista la prima delle sue tre Copa Venezuela e, soprattutto, il primo dei suoi cinque titoli nazionali. Tre anni dopo fa il suo esordio in Copa Libertadores: è il primo club venezuelano a prendere parte alla competizione per club più importante del Sudamerica. Non sfigura nemmeno: nel turno preliminare elimina i vice-campioni brasiliani del Club Esporte Bahía e, all’esordio nella fase a gironi, superano il Barcelona de Guayaquil in Ecuador.

Il 3 marzo 1971 il Deportivo realizza la sua impresa più grande e famosa. Gli azules si recano al Maracanã per affrontare il fortissimo Fluminense di Mario Zagallo. All’andata il Flu aveva demolito 6-0 i venezuelani. Al ritorno le cose vanno diversamente: grazie ad un rigore di Tenorio il Deportivo realizza il “Piccolo Maracanazo”, come hanno raccontato i giornali di Caracas:

La notte del 3 marzo 1971 non potrà mai essere dimenticata dai tifosi del Fluminense […] La piccola squadra venezuelana, travolta tra le mura amiche nella partita precedente, ha fatto ciò che nessuna squadra, compresi i fortissimi club brasiliani, è stata capace di fare per oltre un anno: sconfiggere il Fluminense nel suo Maracanã. In questa fatidica notte, il Deportivo Italia ha conquistato la vittoria più incredibile nella storia calcistica venezuelana, sconfiggendo nello stadio più grande del mondo i campioni del Brasile, come fece, 21 anni prima, la Nazionale di calcio dell’Uruguay.

Eduardo Carcela, El Universal, 4 marzo 1971

Il Piccolo Maracanazo è l’apice di un’epoca di dominio lunga 17 anni, che si conclude in maniera repentina e rovinosa. Nel 1980 scompare all’improvviso Mino D’Ambrosio. Senza la sua guida, il club mostra segnali di cedimento ed entra in una profonda crisi economica che dura fino al 1996, quando cede i suoi diritti alla sindaca di Chacao, comune dell’area metropolitana di Caracas. In accordo con la multinazionale italiana Parmalat cambia nome dapprima in Deportivo Chacao, quindi, nel 1998, in Deportivo Italchacao.

Un tentativo di preservare le radici italiane della squadra durato un decennio, quando la società torna al nome originario. Sempre nel 2008 il club vive un cambio di proprietà con il passaggio all’imprenditore Mario Hernández Cova e perde definitivamente il vecchio nome (attualmente si chiama Deportivo Miranda) e le sue radici italiane. Nonostante la fortissima resistenza della comunità italo-venezuelana, il Deportivo Italia è ormai una delle tante squadre di calcio che non esistono più.

Altro giro, altro cambio di continente. Si va in Asia, in Cina, dove incontriamo una squadra che ha subito ben 11 cambi di denominazione dal 1958 al 2021 e che avrebbe potuto fare bene nel campionato locale, se soltanto il destino non avesse voluto far finire la loro storia proprio sul più bello: lo Jiangsu Suning.

Il club nasce nel 1958 sotto il nome di Jiangsu Province Football Club. Il periodo migliore della società, tuttavia, comincia solo nel 2012, quando si classifica al secondo posto in campionato e conquista, così, il miglior piazzamento della sua storia. Nel 2015 è acquistata per 73 milioni di euro dal Suning Appliance Group, con cui è rinominata Jiangsu Suning Football Club, e nello stesso anno vince il suo primo trofeo, la Coppa della Cina. Conquista, così, la possibilità di disputare nuovamente la AFC Champions League dopo l’esordio deludente nel 2013. Un traguardo che spinge la società ad investire pesantemente. A gennaio arrivano Alex Teixeira dallo Shakhtar Donetsk per 50 milioni di euro e il connazionale Ramires per 28 milioni; insieme a loro giungono l’ex Inter Trent Sainsbury e un altro brasiliano, l’ex Corinthians e Manchester City (di cui abbiamo parlato qui).

Il Jiangsu Suning è una squadra desiderosa di affermarsi, ma non riesce a soddisfare definitivamente le sue ambizioni. Non riesce a vincere il campionato né dopo l’imponente campagna acquisti del 2016, né nella stagione successiva, con Fabio Capello in panchina e Zambrotta e Brocchi nello staff. Anzi, con l’allenatore italiano la squadra rischia di rimanere invischiata nella lotta salvezza. Il successo finale arriverà solo nel 2020, con in panchina il rumeno Cosmin Olaroiu. Dopo aver chiuso il girone preliminare al secondo posto, lo Jiangsu affronta nella finale scudetto lo Shanghai Evergrande: dopo lo 0-0 dell’andata, l’ex Inter Éder e Teixeira firmano il decisivo 2-1 nella partita di ritorno.

Anche questa favola è destinata a non avere un lieto fine. Con l’introduzione di una normativa che vieta alle aziende cinesi di associare il proprio nome alle società sportive, una tempesta perfetta si abbatte sul mondo del calcio e travolge tutto e tutti. A causa dei problemi economici della società, il 28 febbraio 2021 lo Jiangsu Suning annuncia con un comunicato il cessamento immediato di tutte le attività agonistiche.

Non ci allontaniamo troppo dalla Cina, ma quanto basta per poter cambiare continente e dire di esserci spostati finalmente in Europa. Fino a non molti anni fa, infatti, in Russia vi era una squadra fondata nel Daghestan che ambiva a conquistare il titolo nazionale. Riuscì a tesserare anche giocatori celeberrimi, come Samuel Eto’o o Roberto Carlos, ma non riuscì comunque a trionfare: parliamo dell’Anzhi Makhachkala, squadra di culto dello scorso decennio.

La squadra nasce nel 1991 grazie a due figure legate fortemente alla città e, nel complesso, all’Oblast del Daghestan. Da un lato Aleksandr Markarov, ex giocatore della Dynamo Makhachkala (fino a quel momento l’unica squadra nella regione del Daghestan); dall’altro Magomed-Sultan Magomedov, presidente della Dagnefteprodukt, azienda statale impegnata nell’estrazione e lavorazione di petrolio e carbone. Fa in tempo a partecipare al campionato regionale del Daghestan; i risultati sono più che ottimi: 16 su 20 partite vinte, torneo dominato. Dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica, avvenuta sempre nel 1991, l’Anzhi si iscrive nella terza divisione russa; otto anni dopo, nel 2000, esordisce in massima serie.

Il primo campionato nella Premier League russa si chiude con un sorprendente quarto posto, che porta la squadra daghestana all’esordio in Coppa UEFA. Nella stagione successiva arriva anche la prima finale di coppa nazionale, persa ai rigori contro la Lokomotiv Moskva. Nulla di consolidato, visto che la squadra retrocede e rimane in seconda divisione finché non è rilevata dal magnate Sulejman Kerimov nel 2011. In realtà, come si è venuto a scoprire successivamente, l’acquisizione è stata agevolata dall’intervento di Magomedsalam Magomedov, all’epoca capo della Repubblica del Daghestan.

La pomposa campagna acquisti che porta l’Anzhi a firmare Roberto Carlos, Mbark Boussoufa e Diego Tardelli in inverno, e in estate Yuri Zhirkov, Willian, Balázs Dzsudzsák e Samuel Eto’o, convinto con un salario annuale record da oltre 20 milioni e mezzo di euro a stagione, porterà ad una finale di Coppa di Russia e ad una serie di buoni piazzamenti in campionato. Avrebbe anche comportato, nel frattempo, l’inizio della fine per il club. I guai finanziari costringono Kerimov a sbarazzarsi dei suoi giocatori migliori. A causa di questo l’Anzhi retrocede in seconda divisione, senza tornare più ad alti livelli. Nel 2022 fallisce, lasciando l’amaro in bocca a chi credeva fortemente nel progetto.

Poco lontano dalla Russia ha sede la più grande società della storia della Lettonia, anche se è ormai una tante squadre di calcio che non esistono più. 15 campionati nazioni, 8 coppe di Lettonia e 2 coppe di lega lettone, questo il suo palmarés. Lo Skonto Riga era una macchina schiacciasassi che ha stabilito record ineguagliabili in patria, ma che, alla fine, è scomparsa nel nulla.

Fondato nel 1991, in seguito alla dissoluzione dell’Unione Sovietica e alla proclamazione dell’indipendenza della Lettonia, si rivela vincente sin da subito. Vince 14 titoli consecutivi, sino al 2004: nessun’altra squadra in Europa è riuscita a imbastire una simile striscia. Anche in coppa non c’è storia: sono 7 le vittorie nella Latvijas kauss. Fa incetta di record. Tra il 1992 e il 1997 perde solo quattro partite, rimanendo imbattuto per due anni tra il 1994 e il 1995. Nel 1998 stabilisce il record di reti segnate in una singola partita di campionato travolgendo 15-2 il Valmiera. Per lo Skonto Riga sono passati tutti i maggiori talenti lettoni, da Vitālijs Astafjevs a Mihails Miholaps, da Andrej Rubins a Maris Verpakovskis, e ha formato il blocco della Nazionale lettone che conquistò clamorosamente la fase finale di Euro 2004.

I successi, però, non erano destinati ad arrivare per sempre. Nel 2005, per la prima volta dall’indipendenza del paese, lo Skonto non chiuse la Virslīga al primo posto. Avrebbe trionfato in campionato ancora una volta, nel 2010, ma sarebbe stato l’ultimo successo. Attanagliato da problemi economici, nel 2016 non ottiene la licenza ed è costretto ad iscriversi in seconda divisione (1.Liga). Prima di allora, per 24 anni consecutivi, lo Skonto Riga ha sempre partecipato al campionato lettone. Al termine di una stagione condotta tra estreme difficoltà, lo Skonto Riga si scioglie definitivamente, ponendo la parola fine alla storia della più grande squadra di sempre della Lettonia.

Il nostro viaggio si conclude in Ucraina, dove giocava una squadra che aveva prospettive enormi: finalista di Europa League nella stagione 2014-2015 e con un rendimento sempre più in crescita. Aveva tutto; ciò che mancava era solo il titolo nazionale: stiamo parlando del Dnipro, il club che più di tutti nel paese si è avvicinato ad infrangere il dominio di Shakhtar e Dynamo Kyiv.

Le origini della società risalgono al 1918, quando era nota come BRIT Dnepropetrovsk. Durante l’epoca sovietica si distinse come una delle squadre più importanti del paese, conquistando anche due volte il campionato, la Vysšaja Liga. Nel 1991, caduta l’Unione Sovietica, assume la denominazione ucraina di Dnipro e diventa uno dei membri fondatori del campionato nazionale dell’Ucraina. Il Dnipro è tradizionalmente una squadra forte e in patria non ha nulla da invidiare ai team rivali. Peccato che lo Shakhtar Donetsk è già dominante e infatti vince innumerevoli volte il titolo nazionale. Puntualmente il Dnipro si piazza entro i primi tre posti, senza mia agguantare, però, la gloria del titolo.

Se l’apice della gloria non arriva in patria, bisogna guardare all’esterno, all’Europa League. In questa competizione, nella stagione 2014-2015, il Dnipro scrive una delle pagine più belle del calcio nell’epoca recente e arriva in finale dopo un cammino trionfale. Nelle varie fasi della competizione elimina Olympiacos, Ajax e Club Brugge. In semifinale si ritrova ad affrontare il Napoli di Benitez. Al San Paolo finisce 1-1; al NSK Olimpiiskyi un gol di Seleznyov al 58’ basta per chiudere i giochi e mandare gli ucraini in finale. Si gioca il tutto per tutto allo Stadio Nazionale di Varsavia; di fronte c’è la regina dell’Europa League per eccellenza, il Sevilla, che al tempo aveva vinto solo due titoli ancora. Il Dnipro va avanti, Krychowiak la pareggia, Carlos Bacca distrugge i sogni di un popolo intero con una doppietta. Finisce 3-2 per gli spagnoli. La gloria sfugge di nuovo all’ultimo.

Quella finale avrebbe dovuto significare l’inizio di un qualcosa di grande per il Dnipro. Invece, anche in questo caso era l’inizio del declino. Vari problemi sorti con la UEFA a causa del Fair Play Finanziario comportano penalizzazioni pesanti per il Dnipro, che si vedrà escluso dalle competizioni europee per tre anni consecutivi. Le penalizzazioni fanno retrocedere il Dnipro fino in quarta serie ucraina, tra gli amatori. Nel 2019 è proclamato lo scioglimento della società e conseguentemente la cessazione delle attività sportive. Il Dnipro è una delle gloriose squadre di calcio che non esistono più.

Bidvest Wist, Racca Rovers, Los Angeles Aztecs, Deportivo Italia, Jiangsu Suning, Anzhi Makhachkala, Skonto Riga, Dnipro. È un peccato non aver modo di sapere che contributo avrebbero potuto offrire se fossero esistite ancora oggi. Tuttavia, anche se sono tutte squadre di calcio che non esistono più, ciascuna di esse porta con sé una storia irripetibile, una narrazione singolare, una rete di memorie e di vicende che ha contribuito a rendere questo sport per quello che è oggi. Non è la loro scomparsa a determinarne il valore, ma la capacità di trasmettere ancora emozioni e ricordi che trascende la stessa esistenza e che costituisce l’unica eccezione all’ineluttabile ciclo della vita.


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Di Cristian Mrdjenovic

Avevo dei ferri da stiro al posto dei piedi. Però mi piaceva il calcio e mi piaceva scrivere, e ho capito quale sarebbe stata la mia strada unendo queste due mie passioni.

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