Antony De Ávila, noto come “El Pitufo” è stato un’icona dell’América de Cali, con cui ha vinto sette campionati e disputato quattro finali di Copa Libertadores. Tuttavia, la sua vita ha avuto risvolti drammatici, legati al Cartello di Cali…
“Io mi chiamo Pasquale Cafiero e son brigadiero del carcere, oiné. Io mi chiamo Cafiero Pasquale e sto a Poggioreale dal ’53.” Così cantava Fabrizio De André nella sua Don Raffae’. A differenza di Pasquale Cafiero, però, Antony De Ávila detto El Pitufo, il Puffo, per via della sua bassa statura, è a Poggioreale non dal ’53 ma dal 20 settembre del 2021. E non come brigadiere, bensì come detenuto. El Pitufo è stato infatti arrestato nei pressi di Porta Capuana, nel centro del capoluogo campano, mentre usciva da un bar.
Sulla sua testa pendeva un provvedimento di carcerazione emesso dalla Procura della Repubblica di Napoli il 22 dicembre del 2004 per associazione finalizzata alla produzione e al traffico illecito di sostanze stupefacenti. Reati che gli sono valsi una condanna a dodici anni di reclusione. Quando la polizia lo ha fermato, indossava la maglia dell’América di Cali, la sua squadra del cuore.
Un ottimo calciatore
A ogni buon conto Antony De Ávila non era solamente un hincha de Los Diablos Rojos, era molto di più. È stato uno dei massimi idoli calcistici della parte scarlatta di quella città colombiana conosciuta anche con l’appellativo de La Sucursal del cielo. Con i suo scatti, i suoi dribbling e soprattutto i suoi gol aveva fatto sognare intere generazioni di tifosi. Se si esclude una piccola parentesi in Argentina con l’Unión de Santa Fe nel 1987, giocò ininterrottamente con l’América dal 1982 fino al 1996 vincendo ben sette campionati.
El Pitufo ha disputato anche tre delle quattro finali della Coppa Libertadores perse da La Mechita: uno dei suoi più grandi rammarichi. La sua ascesa nel mondo del calcio cominciò sulla spiaggia di Santa Marta, città nella quale era nato il 21 dicembre del 1962, quando un osservatore del club caleño lo scoprì e lo portò giovanissimo alla corte del tecnico Gabriel Ochoa Uribe. Dopo il primo gol segnato al Pascual Guerrero contro l’Unión Magdalena, il 2 agosto del 1982, non si fermò più e la sua marcia verso la definitiva consacrazione divenne inarrestabile. Tant’è che nel 1990 vinse pure la classifica cannonieri del campionato colombiano con 25 reti realizzate.
Lasciò l’América nel secondo semestre del 1996 per accasarsi a New York, con i MetroStars, per una breve avventura nel calcio nordamericano. Ma nel 1997 tornò nuovamente in Sudamerica, in Ecuador. Con la camiseta del Barcelona di Guayaquil conquistò un titolo nazionale e nel 1998 scese in campo, contro il Vasco da Gama, per la sua quarta finale (persa) della Coppa Libertadores. Un record, ma in negativo.
La frase polemica de El Pitufo
Nella sua lunga carriera El Pitufo può vantare anche 13 marcature in 53 presenze con la selección cafetera e la partecipazione a due edizioni della Coppa del Mondo (1994 e 1998) e a ben quattro della Copa America (1983, 1987, 1989 e 1991). Eppure, con La Tricolor viene ricordato segnatamente per l’intervista che rilasciò al termine della partita contro l’Ecuador del 20 luglio del 1997. L’incontro si concluse con la vittoria della Colombia per 1-0 con gol messo a segno proprio da De Ávila. Le sue parole dopo il novantesimo furono nette, forti e imprevedibili come una sua finta. E riecheggiarono nello stadio Metropolitano di Barranquilla e in tutto il Paese.
“Voglio dedicare questo trionfo ad alcune persone che sono state private della libertà. Non credo ci sia bisogno di fare nomi, però, lo dico con tanto amore e con tanta umiltà, questo successo è per loro. Per Gilberto e Miguel.”
El Pitufo
La sua dichiarazione fece evidentemente scalpore perché i fratelli Gilberto e Miguel Rodríguez Orejuela erano due dei capi del famigerato Cartello di Cali, nonché amici personali de El Pitufo. Del resto, la vita di De Ávila è stata sempre contrassegnata da incredibili coup de théâtre come quando il 22 luglio del 2009, a quarantasei anni e centotredici giorni d’età, firmò un contratto di sei mesi per chiudere la carriera con la sua amata América. Inoltre, il 13 settembre dello stesso anno, con la rete realizzata al Deportivo Cali, divenne il più grande goleador del clásico vallecaucano. L’ennesima medaglia da appuntare sul petto.
Tuttavia, una volta appese le scarpette al chiodo, il sipario non scese solamente sulla sua vita sportiva ma anche su quella privata. Almeno, fino a quel 20 settembre del 2021 quando le responsabilità lo inchiodarono a un triste presente e a un futuro incerto. Oggi le sue giornate sono compresse in uno spazio angusto che ti lascia molto tempo per pensare e ricordare. Chissà quante volte con la mente sarà tornato a calcare i manti erbosi degli stadi che l’hanno visto protagonista o a passeggiare con occhi sognanti sulle spiagge di Santa Marta.
O a Cali, lungo il Boulevard del Río. Con l’immancabile salsa in sottofondo e l’intenso profumo di caffè che si diffonde nei vicoli. Come a Napoli. Come a Poggioreale. “Ah, che bell’ ‘o café pure in carcere ‘o sanno fa co’ a ricetta ch’a Ciccirinella compagno di cella, cc’ha dato mammà.”
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Immagine di copertina realizzata da Fabrizio Fasolino