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Le Coq Sportif: storie di maglie di successo

Il galletto impettito de La Coq Sportif, simbolo di orgoglio e di fierezza francese, ha fatto da padrone per due decadi sul panorama calcistico mondiale. Fra la fine degli anni 70 e l’inizio degli anni 90 l’azienda la sua epoca d’oro, cogliendo grandi successi e producendo iconiche divise tanto in ambito di club che per le nazionali, vestendo campioni di calibro internazionale e vere leggende del pallone. La magia, però, poco a poco è svanita ed il galletto è stato scalzato da altri marchi rivali.

Il declino è stato irrimediabile e definitivo, pur con dei colpi di coda notevoli dal punto di vista stilistico ed estetico. La notizia che ha colpito al cuore tutti gli appassionati di maglie da calcio è stata sganciata all’improvviso a metà gennaio: bancarotta e, probabilmente, fallimento. I contratti in essere del brand transalpino con tutta probabilità caducheranno alla fine della stagione in corso, sempre che qualcuno non rilevi il marchio e dia continuità ad una storia iniziata nel lontano 1882.

In attesa che il futuro prossimo gli possa regalare una nuova alba, andiamo allora a vedere quali sono state le divise da gioco più rappresentative della esperienza calcistica de Le Coq Sportif. Il seguente elenco si basa sul gusto personale di chi scrive. Ci si è voluto basare su nazionali e club internazionali, escludendo quelli italiani, in accordo con lo spirito della pagina.

Difficile immaginare una squadra che abbia avuto una influenza tattica e filosofica sul mondo del pallone superiore a quella dell’Ajax del totaalvoetball. La stagione 1972/73 è stata l’ultima di Johan Cruijff ad Amsterdam, prima del suo passaggio a Barcellona. Il canto del cigno di quell’irripetibile era fu a dir poco strepitoso: trionfo in Eredivisie, trionfo in Coppa dei Campioni, trionfo nello stile.

Un organico da sogno, con Cruijff, Krol, Neeskens, Rep, Keizer, Swart, Mühren, Suurbier e tanti altri. Una divisa da sogno: un classico senza tempo, intramontabile, che ha segnato la storia e l’evoluzione delle future divise da calcio. L’eccellenza vestiva e vinceva con Le Coq Sportif sul petto dei biancorossi. E quella maglia con la banda verticale rossa e il numero 14 ancora echeggia nella storia di questo sport.

Nemo propheta in patria si suol dire. Motto veritiero, a cui, però, va abbinato in questo caso l’altrettanto attendibile l’eccezione che conferma la regola. Le Coq Sportif si è legato a lungo a varie squadre francesi, come Lione, PSG e Monaco. Con altre squadre transalpine, però, ha avuto una relazione proficua e ancor più privilegiata. La versione del Saint-Étienne campione di Francia per la decima volta, per esempio, ha un che di storico.

Il genio ancora imberbe di Michel Platini, in predicato di diventare una stella mondiale. La solidità difensiva di Patrick Battiston, anche lui come il 10 di chiare origini italiane. Il futuro tecnico dei Blues Jacques Santini in mediana. Addirittura Jhonny Rep, punta olandese fra i protagonisti della rivoluzione del calcio totale citata poc’anzi. Insomma, una squadra che ha senza dubbio caratterizzato il calcio francese a cavallo fra gli anni Settanta e Ottanta, ovviamente con Le Coq Sportif sul petto.

La stagione che vide i Villans salire sul tetto d’Europa è ricordata con affetto dai tifosi di Birmingham e, nel complesso, dagli appassionati di calcio inglese. La divisa indossata all’epoca, pure.

Essa urla classicismo Anni ’80 in tutto e per tutto. Linee pulite e colori caldi. Un galletto orgoglioso sulla manica e, al centro, il logo classico dell’Aston Villa, che verrà accompagnato dalla eloquente scritta Champions of Europe nella stagione successiva. Valur, BFC Dynamo, Dinamo Kiev, Anderlecht ed infine il trionfo sul Bayern Monaco grazie al gol di White. Incredibile pensare come quella squadra, campione nazionale in carica, in campionato chiuse soltanto all’11º posto, con tanto di cambio allenatore a febbraio. 

Un’annata particolarmente fortunata in terra inglese per il brand francese quella del 1981/82. Se guardassimo alla mera estetica, probabilmente nelle due stagioni successive Le Coq Sportif produsse per gli Spurs divise probabilmente migliori e vincenti, alla luce del trionfo in Coppa UEFA nel 1984. Una divisa, però, non diventa iconica solamente per i trionfi della squadra in una singola stagione.

Il bianco essenziale, con i risvolti blu marino, risulta sobrio ed elegante, tradizionale, ma anche piacevolmente attuale. La divisa del 1981/82 è legata indissolubilmente a due atleti, Juan Villa e, soprattutto, Osvaldo Ardiles. I due centrocampisti erano il motore di un Tottenham che cercava di tornare grande dopo un periodo buio. Il loro arrivo a Londra era stato un evento epocale: i primi stranieri in First Division dalla chiusura delle frontiere del 1930.

Villa era un buon giocatore, ma Ardiles era una stella mondiale. Centrocampista totale, tecnico e con grande visione di gioco, si rivelò presto un idolo per la tifoseria di North London ed un atleta apprezzato in ogni campo del Regno Unito. Sarà pure protagonista nel film “Fuga per la vittoria”, Blockbuster holliwoodiano. Almeno fino al 2 aprile 1982.

Scoppia la guerra fra Argentina ed Inghilterra e le cose non saranno più le stesse. Piano piano Ardiles e Villa verranno abbandonati da entrambe le loro patrie, colpevoli di non essere abbastanza schierati in un senso o nell’altro. Restano il folklore dei tifosi, lo striscione che recitava “Argentini tenetevi le Falkland, lasciateci Ossie”, il coro “Argentina! Argentina!” che i tifosi Spurs lanciavano quando gli avversari attaccavano immancabilmente il loro duo di centrocampo.

Le Coq Sportif è stato il marchio protagonista di uno dei momenti culturalmente formativi dell’identità italiana del secondo ‘900: il Mundial 1982. Una divisa semplice, pulitissima, ma riconoscibile fra mille per chiunque abbia vissuto in prima persona la magia di quella estate ormai lontana nel tempo. Pablito Rossi fece piangere il Brasile con quella divisa. Tardelli ci regalò un urlo che restò immortalato in una delle fotografie sportive più belle di sempre. Dino Zoff, lo “zio” Bergomi, Bruno Conti, Scirea, Cabrini, Gentile, Oriali, Graziani, Collovati e ovviamente il tecnico Bearzot. Una squadra così leggendaria non avrebbe potuto essere vestita se non da un marchio altrettanto iconico, che bene onora la tradizionale eleganza attribuita al Belpaese.

LA maglia per eccellenza di quel calciatore leggendario che è stato Diego Armando Maradona. Il magico mondiale di Messico ’86 è stato accompagnato dall’albiceleste ornata dal galletto. La mano de Dios, el gol del siglo, el barrilete cosmico e tanti altri dettagli di quel torneo sono entrati nell’immaginario collettivo, tutti accomunati dal genio calcistico del Diego e dalle bande bianche e azzurre disegnate dalla casa francese. Ancora oggi è un pezzo da collezione vintage di un valore inestimabile, un pezzo di cultura calcistica su tela. Una opera d’arte su cui Le Coq Sportif ha messo il suo segno.

La visione del marchio Le Coq Sportif si evidenzia anche in questo caso. Non è la prima volta che il galletto arriva a vestire un club dell’Estremo Oriente. Nel 1979 fu il turno del Nissan Motors, nella amatoriale JSL. Ma stavolta il calcio giapponese è ad una svolta: il professionismo. Le Coq Sportif è protagonista della svolta sponsorizzando una delle squadre che nel giro di pochi anni si rivelerà fra le più importanti del paese, sotto la guida di un tecnico del calibro di Arsene Wenger.

Colori accesi e design audace in sintonia con l’estetica un po’ scanzonata e trash degli anni ‘90, così distanti dallo stile classico e un po’ vintage del brand transalpino. Eppure ancora una volta Le Coq Sportif era sul posto quando il calcio si stava sviluppando. Non può essere solo un caso.

Sicuramente a livello estetico non è fra le realizzazioni più eleganti del marchio francese, ma i tifosi Canallas sicuramente la avranno nel cuore.
La strana fantasia a triangoli, i colori artificiali e quasi troppo accesi e quello sponsor (General Paz Seguros) decisamente non armonico.

Eppure quando arriva un trionfo come quello della Copa Comnebol, anche l’estetica passa in secondo piano. I protagonisti di questa stagione memorabile sono nomi come Horacio Carbonari, Eduardo “Cacho” Coudet, Pato Abbondanzieri e Ruben Da Silva. Il primo e unico titolo internazionale del club è arrivato con il galletto sulla maglia, ennesima soddisfazione di decenni dedicati allo sport per il brand transalpino.

Squadre di culto come il Senegal del Mondiale nippo-coreano ne esistono poche. La banda di Bruno Metsu si fermò ai quarti di finale, ma nella fantasia degli appassionati quella squadra che raggiunse traguardi neanche lontanamente auspicati continua a correre, dribblare, segnare e stupire.

Papa Bouba Diop che affonda i campioni in carica della Francia. Il talento folle ed anarchico di El Hadji Diouf che si sprigiona in tutto il suo splendore. La corsa e l’estro di Fadiga, la balistica di Henry Camara, il carisma di Aliou Cissé, i muscoli di Salif Diao e tanta tanta energia, talento e fantasia. Questa squadra ha di fatto cambiato il modo di percepire l’Africa calcistica. E lo ha fatto sempre con un galletto sul petto.

Il Manchester City prima degli sceicchi. Per certi versi un club evidentemente sfortunato, subalterno ai concittadini in rosso. Tuttavia, anche questa strana epoca priva dei lustrini e dei successi degli anni di Guardiola possiede un suo fascino. L’hanno indossata giocatori iconici per il club come Stephen Ireland, Robinho, Pablo Zabaleta, Joe Hart, Micah Richards, Elano, Shaun Wright Phillips e Vincent Kompany.

La scudo centrale, lo sponsor Thomas Cook e quella atmosfera di fremente attesa per la rivoluzione che porterà gli Skyblue ad essere la parte cool della città. Stavolta Le Coq Sportif rappresentava il passato. Forse meno glamour e di successo, ma a cui tutta la tifoseria del vecchio Maine Road resta fortemente legata.

Un manipolo di giocatori ed un allenatore che per un triennio sono diventati l’incubo di ogni top club delle isole britanniche. “Can they do it on a cold, rainy night in Stoke?” era la frase che si sentiva dire da chi voleva minimizzare le prestazioni aliene di Messi e Ronaldo. Bravi, ma provate a farlo al Britannia Stadium.

La fortezza di Tony Pulis era diventata un luogo di culto per chi amava ancora il calcio vecchio stile tipico del mondo britannico. Niente tiki-taka, niente diavolerie esotiche. Nello Staffordshire il football era ancora rustico, era ancora fango e pioggia, palloni pesanti che volavano nell’aria, sportellate e scivolate nel fango. E funzionava molto bene.

Interpreti di culto come Rory Delap, l’uomo più pericoloso al mondo dalla rimessa laterale, Ricardo Fuller, Robert Huth, Glen Whelan, James Beattie, Ryan Shawcross, Matthew Etherington e Thomas Sørensen. Sportivamente parlando arrivò una comoda salvezza e un buon percorso in FA Cup, ma soprattutto l’ingresso nell’immaginario collettivo della Premier League golden era.

Quella divisa a strisce verticali biancorosse, con le maniche lunghe per asciugare la palla già fra le mani dell’ex giavellottista Delap con i piedi puntati sulla linea laterale è già nella storia. E ovviamente c’è lo zampino di Le Coq Sportif.

Le Coq Sportif – Atlético Mineiro 2021

Non si può negare che, dopo i fasti degli anni ’70 ed ’80, Le Coq Sportif abbia avuto difficoltà nell’interpretare il mondo in cambiamento, faticando a tenere il passo con i colossi dell’industria dell’abbigliamento sportivo. Al potere economico e politico di altri brand il galletto ha cercato di rispondere con inventiva e qualità.

La collezione dedicata a O Galho è semplicemente meravigliosa. La chicca che supera ogni aspettativa su una divisa da calcio è il “Manto da Massa 113”, una divisa creata grazie ad un contest da Lucas Adriano. Un design unico, che connette estetica e storia, simboli e sentimento di appartenenza. Non che il resto della collezione sia di minor pregio, ma questa maglia possiede qualcosa di speciale.

Questa carrellata di splendidi esempi di arte calcistica ci racconta di un brand con una tradizione strepitosa, in grado di accompagnare il percorso tecnico e culturale di questo sport in tutta la sua arzigogolata e complessa storia. Sicuramente molte gemme della vasta produzione della casa transalpina non sono state nominate in questo excursus, ma credo e spero che la parabola di Le Coq Sportif sia stata ben descritta.

Dagli albori dell’era delle sponsorizzazioni, intuendo il potenziale economico del connettere un brand ad un club, passando per i primi timidi vagiti del calcio business degli anni ’80, influenzando l’estetica del calcio inglese ed italiano fino all’età moderna. Nel mezzo la crisi concettuale degli anni ’90, quando lo stile composto, vintage e sobrio di Le Coq Sportif sembrava diventato incompatibile con lo stile dell’epoca. Un recupero che faceva ben sperare a cavallo dei primi anni 2000, per poi trovare nuove difficoltà. Infine la storia contemporanea, con il tentativo di tornare sulla cresta dell’onda attraverso design di qualità e coinvolgendo anche il pubblico nei progetti.
Tuttavia la decisione di dichiarare bancarotta certifica che tutto non è stato sufficiente.

Le Coq Sportif chiuderà i battenti.
Oggi questa è la sola cosa che sappiamo.
Ma speriamo che la storia non vada perduta e che presto qualcuno decida di ridare linfa a questo galletto di enorme temperamento.


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Immagine di copertina realizzata da Fabrizio Fasolino

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