Il disastro aereo di Monaco di Baviera che coinvolse il Manchester United di Sir Matt Busby.
Un film già visto troppe volte: “Grande Torino”, Palmas, Chapecoense… Promesse fermate fatalmente, vite spezzate nel fiore degli anni o nella maturità, padri e madri di famiglia scomparsi troppo presto. Sullo sfondo: quel grande sogno che aleggia sui campi di calcio, un gioco che per molti è una ragione di vita. E alla fine degli anni ‘50, il lutto, toccò anche la metà rossa di Manchester.
È il 6 febbraio del 1958
Siamo a Monaco di Baviera. I Red Devils stanno facendo scalo all’aeroporto di Riem sulla via del ritorno da Belgrado, dove hanno conquistato la qualificazione alla semifinale di Coppa dei Campioni contro la Stella Rossa con un rocambolesco 3-3, dopo il 2-1 ad Old Trafford. L’umore è alle stelle, la stanchezza è tanta. Il tempo è pessimo: la città è sotto una coltre di neve e il freddo non dà tregua. Il volo charter 609 della British European Airways è pronto a partire. I 44 occupanti salgono: ci sono la squadra, alcuni giornalisti e altri.
Tutto è pronto, ma qualcosa non quadra: uno dei motori, quello di sinistra, stenta a carburare. Secondo tentativo: nuovamente a vuoto. Dalla torre di controllo sconsigliano di provare ancora: troppo pericoloso e la pista non è nemmeno perfettamente pulita. Ma il pilota fa di testa sua, tenta una terza volta e il peggio accade nel giro di pochi secondi. Il motore incriminato viene acceso in ritardo, l’aereo prolunga la sua corsa oltre i limiti dell’asfalto, le ruote vanno ad impantanarsi in un misto di fango e fiocchi sciolti, tenta di decollare, decelera, non riesce ad alzarsi, impatta contro la recinzione, si spezza, prende fuoco e finisce la sua sua folle corsa nel terreno circostante. L’ala destra colpisce in pieno un edificio dove erano allocati pneumatici e carburante, che esplode complicando ulteriormente le successive operazioni di soccorso.
La tragedia prende forma
Il bianco candido si tinge di rosso sangue e le fiamme rompono il freddo. La paura spazza via la gioia. La morte falcia via la vita. Sono le 15:04 inglesi, le 16:04 locali, e questa tragedia ha il volto di 22 ragazzi. Ha il volto del capitano Roger Byrne, 28 anni. Ha i volti di otto dei “Busby babes”, i ragazzi di Sir Matt Busby, appena ventenni, da lui portati in prima squadra dalle giovanili, nel 1955. Sette perirono subito, mentre Duncan Edwards morì due settimane dopo per le ferite riportate.
Ha il volto di Busby stesso, cui un prete somministrerà per ben due volte l’estrema unzione: ma lui non ne vuol sapere di mollare e, dopo una lunga convalescenza, ce la fa; torna all’inizio della stagione successiva e riparte proprio da Sir Bobby Charlton, sopravvissuto miracolosamente allo schianto. Sotto la guida del suo mister, proprio lui farà grande la sua squadra, poi, assieme a Dennis Law e George Best. Ha i volti di Johnny Berry e Jackie Blanchflower, colpiti così duramente dalla tragedia, al punto da non recuperare mai dalle loro ferite, dovendo dire definitivamente addio al calcio giocato. Ha il volto del nordirlandese Harry Gregg: morto nel 2020, ad 87 anni, in quei bruttissimi momenti aveva fatto avanti e indietro dall’aeromobile per aiutare alcuni compagni e altre persone, tra cui una donna incinta e gli stessi Charlton e Blanchflower, a mettersi in salvo.
A perenne ricordo di quel tragico evento
Perché la memoria di tutti i coinvolti non vada mai persa come le vite dei 23 fiori prematuramente strappati da questa terra, è stata eretta una sorta di stele commemorativa a loro dedicata e l’orologio sulla sinistra è fermo sulle 3.04 come quel 6 febbraio, a Monaco, nel 1958. Ed ogni anno, in questi giorni soprattutto, la gente di Old Trafford si stringe attorno ai suoi ragazzi mai dimenticati.
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Foto di copertina di Ilaria Ciangola