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Nuovo format, vecchie polemiche: commenti sulla Champions

A sancire la conclusione del girone unico di Champions League sono stati 18 fischietti che hanno trillato sinfonicamente in contemporanea. Un artificio sonoro che rappresenta effettivamente una delle grandi novità che l’ambizioso format entrato in vigore da questa stagione ha lanciato. Più squadre, più partite, più moneta e più spettacolo. Ma anche stesse polemiche, stesse sorprese, stesse lacune che hanno accompagnato stancamente le ultime edizioni della coppa più importante d’Europa. Serviva sicuramente rivoluzionare una manifestazione ormai cristallizzata ad un’epoca ormai finita per sempre. I cambiamenti, tuttavia, sono sempre divisivi e anche in questo caso i tifosi non li hanno recepiti in maniera unanime e concorde.

Manuel Santi

Nonostante lo scetticismo iniziale, il nuovo formato della Champions League a 36 squadre secondo me funziona, e anche molto bene.

Apprezzo molto l’idea di torneo itinerante, in cui si compie letteralmente un road trip in lungo e in largo per l’Europa e, al contempo, si ospitano le migliori squadre del continente. Alla fine, pensateci: per essere i migliori d’Europa è giusto sfidare più squadre diverse possibili e dimostrare il proprio valore nel maggior numero di partite. Un po’ come quando a Risiko si ha l’obiettivo di conquistare il continente (metaforicamente parlando, sia chiaro).

Altro aspetto a favore è il fatto che, salvo poche eccezioni, i verdetti si siano decisi all’ultima giornata. Ogni gara va preparata con attenzione e con un obiettivo fisso in mente: vincere. Perché tutto può succedere da un momento all’altro e il fattore sorpresa, in questo senso, è accentuato al massimo. Esempio lampante è stato il Manchester City, che, nonostante un inizio di stagione tremendo, ha potuto comunque accedere ai play-off.

E poi diciamocelo: le 18 partite in contemporanea all’ultimo turno sono stato uno spettacolo ricco di colpi di scena. La possibilità di permettere a più club di partecipare alla competizione a lungo termine darà i suoi frutti, consentendo anche a realtà minori di calcare i palcoscenici più grandi d’Europa, magari in futuro regalandoci qualche storia calcistica memorabile.

Non tutto è rose e fiori, sia chiaro: il numero di partite resta fin troppo alto, la somma di otto gare della fase “campionato” a cui vanno aggiunti playoff ipotetici, ottavi di finale e nel gli impegni nel campionato casalingo potrebbe indurre certe squadre a trascurare l’impegno europeo a causa di rose non ben attrezzate o infortuni di troppo.

Matteo Cipollone

Il nuovo format delle coppe europee doveva portare nuove risorse, nuove energie e più spettacolo. L’obiettivo era spezzare l’oligarchia che si era consolidata negli ultimi anni trasversalmente fra tutte le competizioni. La Champions League, in particolare, era ormai divenuta appannaggio di uno sparuto gruppo di squadre troppo più forti economicamente e sportivamente rispetto alle altre. Si può affermare, dunque, che tale riforma abbia effettivamente cambiato le cose. La risposta, per me, è: dipende.

Il nuovo formato ha sicuramente offerto una certa imprevedibilità, tanto che sovente i pronostici sono stati sovvertiti. Ciò traspare soprattutto tra Champions ed Europa League. Talune squadre hanno vissuto momenti di inaspettata difficoltà (Manchester City, PSG, Roma, Porto). Altre, invece, hanno dato vita a prestazioni sorprendenti (Milan, Celtic, Lazio, Elfsborg). Il processo di spettacolarizzazione ha dunque compiuto notevoli passi avanti, a giudicare dalle partite entrate nell’epica collettiva (come Manchester City 3-3 Feyenoord oppure Benfica 4-5 Barcelona).

Tuttavia, il millantato miglioramento dal lato tecnico, tattico e persino estetico appare alquanto modesto. L’allargamento delle squadre partecipanti non ha risolto affatto il problema della scarsa competitività di taluni club. Non solo le squadre aggiunte non hanno effettivamente aumentato il livello globale della manifestazione, ma persino le stesse sorprese della passata stagione, come Stuttgart, Girona e Bologna, dalle quali ci si aspettava un salto di qualità, hanno deluso e sono state eliminate. I lauti premi economici ricevuti potranno davvero avvicinare queste squadre all’élite del calcio europeo, che, in virtù di tale riforma, otterrà ancora più fondi e potrà così alimentare storture e squilibri del sistema calcistico attuale?

Lo stesso format del play-off, più che una scrematura, fornisce un’ancora di salvataggio a squadre che hanno deluso. Possono avanzare al turno successivo squadre come Manchester City e Juventus, che hanno vinto meno della metà delle gare disputate? Davvero tale sistema ricompensa adeguatamente tutte le società?

Insomma, la riforma non può essere bocciata, ma sento che non possa neanche essere pienamente promossa.

Marco Paoletti

La prima fase della nuova Champions League è terminata. Da questo momento in poi si torna al classico percorso ad eliminazione diretta, con la sola aggiunta dei sedicesimi di finale. La parte che ha fatto più discutere in questi mesi, però, è stata proprio quella appena conclusa del mini-campionato che ha preso il posto dei gironi. Sicuramente la UEFA doveva dare uno scossone dopo la minaccia della Superlega e doveva assolutamente cambiare qualcosa.

Come tutte le novità inizialmente c’è stato scetticismo. Dopo aver metabolizzato e analizzato con lucidità, però, possiamo dire che questo format innanzitutto garantisce più partite ad ogni singola squadra. Se per un Real Madrid giocarne otto invece di sei non ha grande impatto economico, per uno Slovan Bratislava fa tutta la differenza di questo mondo. Perciò, trovo molto positive le opportunità che questa Champions League offre in più a quelle realtà che non sono grandi a livello continentale, ma che nei propri paesi sono molto seguite e con grande storia e tradizione. La classifica si è rivelata molto corta, quindi per tutte c’è anche una buona possibilità di proseguire il cammino e di non fermarsi alle otto garantite al momento della qualificazione, cosa molto più complicata per una quarta fascia fino allo scorso anno.

Per un lato positivo, però, c’è sempre un lato negativo. La sensazione che la classifica sia così corta proprio perché, avendo più partite a disposizione, le big qualche volta le prendono sottogamba. Fino alla scorsa stagione dopo una sconfitta nel girone bisognava iniziare a fare subito i calcoli. In questa, invece, ci sono più opportunità di recuperare e, soprattutto, più posti validi per passare al turno ad eliminazione diretta. In più, una classifica generale dove non tutti incontrano le stesse squadre non so quanto possa essere fino in fondo meritocratica…

Fabio Terenzi

La Champions League non è solo una competizione, ma un modello che ispira l’evoluzione dello sport. Il suo formato, basato su sfide tra i migliori club d’Europa, non solo attira milioni di spettatori, ma stabilisce nuovi standard che altre discipline tendono ad emulare. La ragione è semplice: quando una formula si dimostra vincente, viene adottata anche altrove per migliorare l’appeal e la sostenibilità economica. Il nuovo format, però, risulta troppo permissivo.

Agnelli voleva la Superlega per evitare che piccoli club ben gestiti, come l’Atalanta, escludessero le grandi potenze storiche. Un torneo davvero equo, in realtà, dovrebbe ammettere solamente i campioni, ma il business impone sfide regolari tra i club più seguiti. Per rispondere alle pressioni, la UEFA ha ampliato l’accesso ai top club, senza però convincere i fautori della Superlega, che puntavano a un sistema ancora più chiuso. Il risultato? Un formato che tutela le grandi squadre anche di fronte a prestazioni deludenti.

In passato, una squadra come il Manchester City, sconfitta da Sporting, Juventus e PSG e fermata in casa da Inter e Feyenoord, sarebbe stata eliminata. Oggi è bastato superare il Club Brugge per accedere agli spareggi: un parafulmine studiato per evitare l’eliminazione prematura dei colossi europei e le relative perdite economiche. È paradossale che chi ha criticato la Superlega ora difenda questa Champions League allargata, soprattutto perché l’idea che sia più emozionante non regge a un’analisi attenta.

Nicola Lozupone

Io guarderei questa nuova formula della Champions e delle coppe europee in generale partendo dal punto di vista che preferisco, ossia quello delle squadre più deboli del lotto. Questo sistema, costruito probabilmente per favorire le squadre più ricche, ha dato delle opportunità anche alle squadre meno blasonate: è vero ci sono squadre come lo Slovan Bratislava che hanno fatto la figura dello sparring partner, ma ha anche permesso ad altre squadre di poter essere in gioco fino all’ultimo per entrare nei playoff, vedi Dinamo Zagabria, oppure squadre come il Brest che, con questa formula, hanno anche sognato di raggiungere l’accesso diretto agli ottavi di finale.

Il fatto che anche queste squadre abbiano avuto la possibilità di disputare otto partite, indipendentemente da come si sono risolte in termini di risultato e prestazioni, ha permesso loro di far acquisire esperienza internazionale ai propri giocatori e poter, quindi, avere la possibilità di alzare il proprio livello al termine di questa esperienza. E questo è un bene per il calcio in generale. La formula, infine, ha il vantaggio di averci portato all’ultima giornata di ieri con 16 delle 18 partite disputate che avevano importanza ai fini della classifica, in quanto ogni punto ed ogni goal hanno una certa importanza ai fini del piazzamento.

Questo aspetto, aggiunto a quello della formula con cui ogni squadre deve affrontarne due di ciascuna fascia, ci ha permesso di assistere a tante partite bellissime, basti pensare a quale spettacolo ci hanno offerto partite come Barcellona-Bayern o Atalanta-Real Madrid. Resta aperto, ovviamente, il nodo del calendario congestionato: per molte squadre questa Champions propone quattro partite in più sul calendario (le due in più della fase a gironi e le due partite di playoff) e questo è un problema.

Stiamo vedendo diverse squadre falcidiate da infortuni e giocatori che peccano di continuità a causa dei troppi impegni. Ma, come nel diritto le leggi nazionali devono adeguarsi alle norme internazionali, anche nel calcio le competizioni nazionali dovrebbero adeguarsi a quelle internazionali, per cui il dito va puntato contro i campionati a 20 squadre, ma questo è un discorso troppo lungo da sviscerare in questa sede.

Cristian Mrdjenovic

Terminata la prima fase della nuova Champions League, ho potuto formulare diverse opinioni sul nuovo format, che indubbiamente è tuttora oggetto di discussione tra chi è favorevole e chi lo è meno o per niente.

Nonostante abbiamo potuto godere di un maggior numero di partite nel corso delle varie giornate, credo fermamente che stravolgere il formato già rodato e con una tradizione così leggendaria come quello della Champions League sia stato un errore. Per mesi ci si è appellati contro l’istituzione di una fantomatica Super League (come fatto qui) e sono stati invocate delle riforme. I cambiamenti epocali tanto attesi, però, hanno ricalcato a tutti gli effetti quelli proposti dalla Super League.

Un altro aspetto correlato di cui si dovrebbe parlare maggiormente è il numero di partite giocate. Dall’inizio della stagione corrente, quanti calciatori hanno subito gravi infortuni che ne hanno pregiudicato la stagione?

Anno dopo anno i calendari si sono riempiti di un numero sempre maggiore di partite e ciò non permette ai calciatori di recuperare le energie in vista degli impegni concomitanti, sia in campionato, sia nelle varie coppe locali e internazionali. Diversi calciatori si sono schierati in prima linea per far sì che il numero delle partite fosse diminuito sensibilmente, per ridurre il rischio di infortuni. Ma non sono stati ascoltati.

E se in futuro iniziassero gli scioperi? Prima o poi i calciatori si stancheranno sul serio. I cambiamenti introdotti, insomma, non mi convincono per nulla. La salute dei giocatori pare sempre meno tutelata e ritengo sia stato un errore intervenire in maniera così massiccia su un sistema che funzionava. E credo che tra qualche anno si ritornerà al vecchio format, come ai bei vecchi tempi.

Cosimo Giordano

Più emozioni, più competizione e più spettacolo: il nuovo format della Champions, a (maxi) girone concluso, mi ha convinto. E ha i suoi punti di forza.

Il primo grande vantaggio è l’imprevedibilità. Ogni partita diventa un evento, senza la possibilità di fare troppi calcoli o gestire i punti con strategie conservative. Le squadre devono dare il massimo dall’inizio alla fine, perché la classifica è aperta e ogni risultato può fare la differenza. Questo significa più intensità, meno partite scontate e un livello di agonismo ancora più alto.

Inoltre, aumenta senza dubbio il divertimento per i tifosi. Vero è che i calciatori sono sottoposti a più sforzi ed esposti a più infortuni, ma è il loro lavoro, semplicemente. Con più big match già nella fase iniziale, la Champions diventa un’esperienza da vivere settimana dopo settimana con il fiato sospeso. Niente più gironi con squadre che si qualificano con largo anticipo, niente più incontri di scarso interesse. Insomma, ogni turno diventa spettacolo puro.

Ma il vero punto di forza di questo nuovo format è che premia il merito. Chi passa il turno lo fa perché ha dimostrato di essere all’altezza sul campo, senza calcolatrici alla mano o qualificazioni gestite con prudenza. In una Champions così aperta e incerta, nulla è scritto in anticipo. E questo, per chi ama il calcio, è la miglior notizia possibile.

Anche la redazione di Sottoporta, dunque, pare piuttosto spaccata sui cambiamenti che questo girone unico ha manifestato. Sicuramente servirà aspettare perlomeno la fine della competizione attuale, nonché confrontare i dati e gli spunti che emergeranno sul lungo periodo. Nel frattempo, questa competizione continuerà a far parlare di sé e a far discutere. Concordate con qualcuno dei redattori, condividete lo scetticismo di alcuni o supportate l’ottimismo e la fiducia degli altri?


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