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Come Erdogan ha rivoluzionato il calcio in Turchia

Che in Turchia il calcio sia probabilmente lo sport più sentito è assai noto. Qualsiasi appassionato di calcio internazionale che abbia un account sui principali social media potrà confermare la passione viscerale che anima e muove i tifosi turchi. Qualunque giocatore risulti accostato ad una delle squadre principali del paese anatolico si ritrova bombardato da centinaia di migliaia di commenti che lo invitano a firmare per Beşiktaş, Fenerbahçe o Galatasaray. Talvolta si sfora il milione, come nel caso caso del passaggio di Alexander Sørloth al Trabzonspor nel 2019.

Nel corso degli ultimi anni, però, la Turchia ha assistito a dei cambiamenti antropologici nelle modalità con cui si esperisce il gioco. Tali mutamenti sono legati sicuramente alla figura che più di tutte, nella storia del paese, è intervenuta nel mondo del calcio. C’è un calcio turco antecedente ed uno posteriore all’ascesa di Recep Tayyip Erdogan. La sua parabola politica e individuale coincide pienamente con quella che ha vissuto e sta sperimentando il movimento calcistico nazionale. Grazie a lui il calcio è divenuto uno dei centri di produzione d’influenza e di potere, ma al contempo anche il campo di battaglia entro cui fosse possibile, per gli oppositori, manifestare il proprio dissenso. Prima di scoprire come il Presidente abbia acquisito tale indiscutibile rilevanza, è opportuno offrire una breve panoramica storica del calcio turco.

Tratteggiare un ritratto del calcio turco che sia sintetico ed esaustivo risulta un’impresa sicuramente ardua. La storia del calcio del paese, a livello di club, potrebbe essere paragonabile a quella di nazioni come Portogallo o Repubblica Ceca. Anche in Turchia, difatti, vige un ristretto oligopolio di squadre fondate tutte nel cuore economico, demografico e finanziario del paese (Istanbul), che hanno attirato la stragrande maggioranza di tifosi e appassionati. Le tre squadre sopracitate rappresentano le Grandi di Turchia, al pari de Os Três Grandes in Portogallo. E sono prime per numero di titoli vinti (59 campionati conquistati su 68) e per numero di spettatori. Galatasaray e Fenerbahçe mantengono una media spettatori superiore alle 40.000 unità, avvicinandosi alla Top 50 mondiale. Il Beşiktaş, complici le ultime annate turbolenti, risulta più staccato con 32.093 spettatori in media.

Il movimento calcistico turco in realtà ha accusato storicamente un certo ritardo nell’area UEFA, anche a causa delle minori disponibilità economiche del paese e delle squadre principali. Un’inversione di tendenza è avvenuta tra la fine degli anni Novanta dello scorso secolo e i primi anni Duemila. Le Tre Grandi del paese hanno cominciato a raccogliere i primi risultati importanti in campo europeo. Il Galatasaray di Fatih Terim, guidato da Emre Belözoğlu, Gheorghe Hagi o Hakan Şükür, ha conquistato nel 2000 sia la Coppa UEFA sia la Supercoppa Europea, superando Borussia Dortmund, Arsenal e Real Madrid.

Dall’altro lato, al contempo, anche la Nazionale ha migliorato il proprio livello. Dapprima ha iniziato a raggiungere con costanza la qualificazione al Campionato Europeo. Due anni dopo lo storico successo dei giallorossi, invece, all’esordio assoluto nella Coppa del Mondo, la Turchia ha concluso addirittura al terzo posto, battendo nella finalina la Corea del Sud.

Nonostante ciò, e sebbene il campionato sia divenuto il settimo per importanza e per introiti sul piano europeo, avvicinandosi ormai a Eredivisie e Liga Portugal, l’impressione è che il calcio turco abbia comunque fallito nel suo ambizioso obiettivo di imporsi definitivamente sulla scena europea. Le squadre della Süper Lig, lungi dal poter competere con i grandi club del continente sul lungo periodo, hanno raccolto solo grandi delusioni nelle competizioni internazionali nell’ultimo ventennio.

In più, il divario già crescente sul piano sportivo si è acuito notevolmente anche a livello finanziario. Una crisi le cui dinamiche contestualmente seguono quelle del sistema-paese, attraversato da importanti tensioni sociali e colpito dalla debolezza della valuta nazionale, ma comunque più ambizioso e intraprendente che mai sul piano della politica internazionale.

Il cursus honorum di Recep Tayyip Erdogan è sicuramente di assoluto prestigio. Dapprima sindaco di Istanbul dal 1994 al 1998, successivamente è stato Primo Ministro della Turchia dal 2003 al 2014, anno in cui con il suo Adalet ve kalkınma partisi (AKP), ovvero Partito per la Giustizia e lo Sviluppo, divenne ufficialmente Presidente del paese. Durante le sue campagne politiche, Erdogan ha spesso ricordato come fosse sempre stato legato al mondo dello sport sin da bambino.

Ha dichiarato di aver praticato calcio a livello dilettantistico sin da giovane in diverse compagini di Istanbul, essendo lui nativo del quartiere operaio di Kasimpaşa. A detta sua, sarebbe stato ad un passo dal firmare nel 1977 un contratto con il Fenerbahçe, la sua squadra del cuore. Tali indiscrezioni, però, hanno ricevuto forti contestazioni da parte di numerosi giornalisti, su tutti Mustafa Hoş e Soner Yalçın.

Il ricorso allo sport come strumento propagandistico di costruzione del potere, dunque, poggia su una storica predilezione del Presidente turco verso il calcio. La sua ascesa politica è coincisa con un profondo rinnovamento del tessuto sportivo nazionale che ha coinvolto gli sport più popolari, su tutti pallavolo, pallacanestro e calcio. Lo status di società polisportive assunto dalle principali società del paese ha agevolato sicuramente tale processo trasversale.

Di primaria importanza è stata poi l’opera di iper-commercializzazione attuata nel corso degli anni. Questa ha coinvolto le divise dei giocatori, la vendita dei diritti TV, il rebranding degli stadi (su cui torneremo più avanti) e il potenziamento del merchandising. Fondamentali, però, sono stati anche gli eventi del 2013, anno a partire dal quale i tifosi delle Tre Grandi hanno indetto una serie di manifestazioni antigovernative, compresa quella del Gezi Park, che hanno spinto Erdogan a intervenire sul sistema.

Nel 2020, per la seconda volta nella storia della Süper Lig (perlomeno da quanto ha adottato l’attuale denominazione) un club diverso da Galatasaray, Fenerbahçe, Beşiktaş e Trabzonspor ha trionfato in campionato. Si è trattato del giovanissimo İstanbul Başakşehir F.K., club che ha vissuto un’ascesa rapidissima e quantomeno controversa. Fondato nel 1990 come İstanbul Büyükşehir Belediyesi, aveva sede nel distretto di Başakşehir, inaugurato nel 1995 proprio da Erdogan mentre era sindaco della città. Si tratta solo della prima coincidenza che segna l’ambiguo rapporto tra questa squadra e il Presidente turco, mostrando come quest’ultimo sia riuscito ad inserirsi lentamente nei meandri del sistema calcistico nazionale.

La storia del club, difatti, cambia improvvisamente e irrimediabilmente nel 2014, quando per circa 5 milioni di euro la società è acquisita da una cordata capeggiata da Göksel Gümüşdağ, CEO della Gümüşdağ Electronic, società d’elettronica di una certa importanza nel paese, e vice-presidente della Federazione turca nel 2007. L’acquisizione è stata seguita da vicino dall’allora neopresidente: un atto che ha fatto sorgere i primi sospetti, alimentati a loro volta da altre coincidenze. Gümüşdağ, difatti, è un membro dell’APK ed è sposato con una parente di Erdogan. A seguito dell’acquisizione, poi, l’İstanbul Başakşehir ha adottato come colori sociali l’arancione e il blu. Ufficialmente i nuovi proprietari hanno dichiarato di aver tratto ispirazione dai colori dei Paesi Bassi; contestualmente, però, essi sono anche i colori dell’APK, il partito attualmente al potere. Del resto, la società è tutt’ora di proprietà del Ministero turco per la Gioventù e lo Sport.

Sin dall’ufficializzazione del cambio di proprietà, il club ha cominciato a piazzarsi stabilmente nelle parti alte della classifica, chiudendo al quarto posto nei primi due anni dopo la sua promozione in massima serie e fino al trionfo del 2020. Accolse in squadra giocatori importanti, seppur ormai a fine carriera, come Gaël Clichy, Martin Skrtel, Robinho e Demba Ba. Nel 2014, poi, ha inaugurato il Başakşehir Fatih Terim Stadyumu, un nuovissimo impianto costato circa 47 milioni di Euro (178 milioni di lire turche). Queste operazioni hanno avuto successo grazie alle ingenti possibilità economiche di cui dispone la nuova proprietà e dalla mediazione della Medipol Eğitim ve Sağlık Grubu (Medipol Education and Health Group), società di medicina e biotecnologie che costituisce lo sponsor principale del club. La Medipol fu fondata dal dottor Fahrettin Koca, medico personale di Erdogan e Ministro della Salute dal 2018 fino allo scorso luglio.

Del resto, il Presidente Erdogan non ha mai smentito la sua associazione con il Başakşehir, dichiarando più volte di essere tifoso del club. Ne ha indossato la divisa in una partita celebrativa (dove ha messo a segno anche una pregevole tripletta) e più volte ha ribadito di aver fondato il club, dato che sotto la sua amministrazione, come ricordato precedentemente, è stato inaugurato l’omonimo distretto. Ciò ha attirato verso la squadra le critiche e l’astio dei tifosi delle Tre Grandi. Inoltre, essendo il quartiere di Başakşehir popolato dalle frange benestanti di Istanbul, la società può contare su uno scarso supporto da parte della tifoseria. Non a caso, con soli 1.740 spettatori in media, il Başakşehir ha i dati sull’affluenza peggiori del campionato assieme al neopromosso Eyüpspor, club che disputa le sue partite nel Recep Tayyip Erdoğan Stadyumu.

Meno conosciuta, invece, è la storia dell’Osmanlıspor. Il club, fondato nel 1978 e noto storicamente come Ankaraspor, visse un cambio di proprietà nel 2014, in contemporanea con l’İstanbul Başakşehir. A capo della società s’insediò Melih Gökçek, membro dell’AKP e sindaco di Ankara, la capitale del paese e città dove ha sede la squadra. La società cambiò nome in onore di Osman I, fondatore dell’Impero Ottomano nel 1299. Non deve stupire una simile operazione: i richiami al periodo ottomano e agli eroi dell’epica turca di epoca medievale, moderna e contemporanea costituiscono elementi ricorrenti dell’intervento di Erdogan nello sport. Non a caso, il gruppo di ultras del Başakşehir, per esempio, si chiama 1453, data della conquista di Costantinopoli da parte delle truppe ottomane.

Nel 2016 il club conquista il suo miglior piazzamento di sempre in campionato, giungendo ad un insperato quinto posto che vale la partecipazione al secondo turno preliminare di Europa League. Nell’estate di quell’anno l’Osmanlıspor si rende protagonista di una delle più grande imprese della storia recente del calcio turco, superando il Midtjylland ai play-off e conquistando un posto nella fase a gironi. Chiuderà il proprio gruppo al primo posto, davanti al Villarreal, prima di essere eliminato nel turno successivo dai greci dell’Olympiacos. Come tutte le favole, la magia finì dopo poco: nel 2017, anno in cui Gökçek, tra le altre cose, terminò il suo mandato da sindaco della capitale, la squadra retrocedette. Nel 2020, peraltro, tornò alla sua denominazione originaria.

La presenza di Erdogan nel mondo del calcio turco vede nell’edificazione e nella rivalutazione degli stadi un fattore cardinale e di assoluta rilevanza. In Turchia gli impianti sono spesso situati in zone centrali delle città, come il già citato Fatih Terim di Başakşehir. Sono spesso intitolati ad eroi nazionali, figure ed di spicco della cultura del paese. Basti pensare al vecchio stadio del Samsunspor: costruito nel 1975, il suo nome è un omaggio al 19 maggio, data d’inizio della Guerra greco-turca del 1922: quel giorno Mustafa Kemal, in seguito chiamato Atatürk, ovvero “Padre dei Turchi“, sbarcò a Samsun, sul Mar Nero, dando iniziò al conflitto che avrebbe portato alla nascita della moderna nazione turca. A Mustafa Kemal sono dedicati numerosi stadi, come la vecchia casa dell’Hatayspor o, soprattutto, il magnifico impianto dell’Istanbul Atatürk Olympic Stadium.

A partire dallo scorso decennio Erdogan ha investito ingenti risorse (si parla di oltre un miliardo di euro) nell’edificazione ex-novo o la ristrutturazione degli stadi nell’intero paese. Il Presidente turco, difatti, ne ha intuito il valore di luoghi in cui raccogliere consenso e costruire l’unità nazionale. Tra il 2009 e il 2017 sono stati inaugurati 21 nuovi impianti; attualmente, tra le 19 squadre della massima divisione, solo 2 possiedono uno stadio inaugurato prima del 2009 (Fenerbahçe ed Eyupspor). Particolare importanza è data alla denominazione ufficiale dello stadio. Nella maggior parte dei casi l’impianto prende il nome dal main sponsor del club. È il caso del Tüpraş Stadyumu, casa del Beşiktaş, o dell’Enertürk Enerji Stadyumu del Kayserispor.

Al contempo, però, sovente si affiancano altre denominazioni ufficiali che risaltano l’opera di rievocazione del pantheon della nazione turca. Alcuni sono dedicati a figure importanti del movimento calcistico del paese, come l’Ali Sami Yen Stadium del Galatasaray, dedicato al primo presidente del club. Altri sono intitolati addirittura al Presidente stesso, come il sopracitato stadio dell’Eyüpspor o quello del Kasimpaşa. In alcuni casi, gli impianti sportivi servono a colpire esteticamente gli spettatori come dimostrazione di forza e ambizione. Un esempio è la spettacolare Timsah Arena del Bursaspor, avente la caratteristica forma a coccodrillo.

Ogni impianto ha capacità ingenti e può ospitare parecchi tifosi. La media è di circa 28.000 posti, decisamente abbassata dagli stadi di Bodrum (3.925 posti) ed Alanya (9.789 posti). Al contempo, però, in Turchia 30 stadi hanno più di 20.000 posti. Sono numeri importanti, che testimoniano ulteriormente quanto il movimento calcistico sia seguito in ogni zona del paese.

L’ultimo aspetto toccato dalla presente analisi verte sull’obiettivo sportivo finale attivamente perseguito da Erdogan. La Turchia, infatti, si è aggiudicata la possibilità di essere paese ospitante degli Europei del 2032 insieme all’Italia. Un evento che, dunque, riguarda da vicino i tifosi italiani. Riallacciando la tematica degli stadi, tra i dieci siti provvisoriamente selezionati dalla UEFA, solamente lo stadio Olimpico Atatürk è da ristrutturare, a conferma di quanto siano efficienti i nuovi impianti costruiti nel paese. Sicuramente un avvenimento così importante rappresenterà il palcoscenico ideale per un movimento già in grande crescita.

I primi frutti di un lavoro così meticoloso e dispendioso iniziano già a farsi vedere. La Nazionale turca è reduce da un’ottima figura durante gli Europei del 2024. Probabilmente, a giudicare anche dalla bontà dei nuovi talenti prodotti ultimamente, si tratta di una delle più promettenti sul panorama internazionale. La Süper Lig, al contempo, sembra aver superato il periodo di maggior depressione e sta attraendo ultimamente giocatori ed allenatori di livello sempre più alto. È il caso di José Mourinho, nuovo allenatore del Fenerbahçe; di Ciro Immobile, nuovo volto del Beşiktaş, o della coppia d’attacco del Galatasaray Mauro Icardi-Victor Osimhen.

Tracciare un bilancio dell’intervento di Erdogan nel mondo calcistico turco è, dunque, un’operazione complessa. È indubbio che il suo impegno abbia portato a vantaggi incontrovertibili. La Turchia è una delle squadre più ambiziose d’Europa. I suoi club possono vantare impianti di livello superiore e le operazioni di marketing che hanno coinvolto su più dimensioni le varie società hanno comportato un aumento di risorse che permette di diminuire il ritardo rispetto al resto del continente.

La presenza di figure vicine al Presidente nella Federazione e nei vari club, nonché le vicende riguardo l’İstanbul Başakşehir e l’Osmanlıspor, gettano però ombre ambigue. Del resto, l’ostilità dei tifosi delle grandi del paese non si è mai placata del tutto. Anzi: le recenti notizie negative sul lato economico hanno acuito le tensioni preesistenti e messo a dura prova la tenuta dell’esecutivo. Il futuro del calcio turco quanto ancora equanto a lungo sarà legato a quello del Presidente?


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