Il centrocampista classe ’97 è il pilastro del nuovo corso dei Blanquinegres. A suon di gol e di assist si sta prendendo la scena anche in Nazionale, avvicinandosi alla definitiva consacrazione.
Quando il progetto di Peter Lim sembrava realmente intrigante, con grossi investimenti sul mercato e ambizioni da vertice, nel Valencia c’era un giovane ragazzo che faticava a trovare la sua dimensione, sballottato tra centrocampo e attacco. Ora che il progetto si è radicalmente ridimensionato e le stelle sono andate via, quello stesso calciatore è maturato, diventando l’anima e il simbolo della squadra. Quel giocatore si chiama Carlos Soler ed attualmente è l’astro nascente dell’intero panorama calcistico spagnolo.
“Colpa” di un game boy
Come spesso succede per chi è baciato da un talento molto sensibile, alla bellezza del gioco si aggiunge la particolarità della storia personale. Carlos Soler, centrocampista dalle spiccate qualità balistiche, si è avvicinato al calcio – e al Valencia, che nel suo caso significa esattamente la stessa cosa – quasi per caso, o meglio, assecondando un capriccio.
All’età di 4 anni, infatti, la stella del Pipistrello accompagnava il fratello alle partite e agli allenamenti del Bonrepòs, piccolo club nel valenciano, senza avere la minima intenzione di lasciarsi coinvolgere. Palleggiava durante l’intervallo o nelle pause, palesando una notevole qualità nel tocco, ma fuggiva con decisione ogni approccio di allenatori o addetti ai lavori.
Per convincerlo a farsi tesserare, i dirigenti del club le provavano davvero tutte, finendo per offrirgli una maglia del Valencia. Un’offerta di certo intrigante per un bambino “malato” di futbol e di Valencia, ma insufficiente per il piccolo Soler. Come si è arrivati dunque a tesserarlo al Bonrepòs, passaggio decisivo prima del salto nella cantera del Valencia? Facile, con un game boy. È solo davanti alla promessa del nonno di comprare la famosa console che il piccolo Carlos cede, dedicandosi anima e corpo al pallone. E al Valencia.
Talento completo
Per anni, per troppo tempo, il talento di Soler sembrava lontano dalla sublimazione. Cresciuto nel settore giovanile del Valencia nel ruolo di attaccante, con più di 800 gol messi a segno, una volta arrivato in prima squadra il classe ’97 ha fatto una fatica tremenda a trovare il suo ruolo naturale. Seconda punta, esterno alto, regista o mezzala: i vari allenatori lo hanno provato ovunque, senza mai trovare il ruolo più adatto a lui.
Ad un certo punto sembrava che tutti stessero per rinunciarci, compreso lo stesso calciatore, quasi arresosi alla possibilità di diventare l’ennesimo “giocatore-ibrido”, capace di fare tutto senza eccellere in nulla. Ma nelle stelle c’era scritto altro. Ed è cominciato a venire fuori nella scorsa stagione, quando, agendo per vie centrali da trequartista mascherato, Soler ha messo a segno la bellezza di 12 gol.
Una traccia, una folgorazione che il nuovo allenatore, Bordalas, ha immediatamente colto. Schierandolo da esterno destro di centrocampo, con la licenza di tagliare verso l’interno sulla trequarti, Soler è risultato ancora più incisivo, con 3 gol e 2 assist nelle prime uscite stagionali. È arrivata anche la convocazione in Nazionale, dove Luis Enrique ha subito deciso di farne un perno. La risposta? Due gol nelle prime 2 partite, subito nel cuore della Roja. Come si addice ai talenti completi: quelli dotati di qualità, ma anche opportunismo; di visione di gioco e cambio di direzione; di classe e determinazione.
La “10” negata
Senza carattere e determinazione, infatti, oggi probabilmente Soler non sarebbe arrivato dov’è. Un anno fa, davanti ad un Valencia dimesso, in crisi e in totale spending review, il giovane canterano aveva chiesto una sola cosa: la maglia numero 10. Lo aveva fatto con umiltà e discrezione, come suo solito, credendo di meritarsi un simile riconoscimento per la sua leadership tecnica e per la disponibilità a rimanere nel bel mezzo della tempesta. Per indicazioni commerciali dettate direttamente da Lim, però, Soler ha visto negarsi quella maglia che, per un valenciano cresciuto nel Valencia, significa tutto.
A quel punto avrebbe potuto mollare, crogiolarsi nella rabbia, ma invece la sua reazione è stata un’altra. Il suo obiettivo è diventato quello di dimostrare di meritare la 10 sul campo, attraverso le prestazioni. E la risposta è stata fragorosa: la tripletta al Real, i numeri esaltanti, l’argento olimpico. Oggi nessuno riesce a fare a meno di Soler, nessuno è più in grado di negargli nulla. Con carattere e spirito, non solo si è preso la 10 del suo club, ma persino quella della Nazionale. Onorandola, come solo lui sa fare. E regalando una straordinaria lezione a chi insegue business e marketing: talento e sentimento vengono sempre fuori. Anche grazie alla spinta di un game boy.
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Fonte immagine di copertina: Carlos Soler – Profilo Twitter