Il Barcelona deve accettare le proprie sconfitte e i propri fantasmi se vuole tornare a vincere dove conta.
Pochi giorni fa, in un post, abbiamo accennato alla crisi del Barcelona come squadra, come istituzione e come modello calcistico, per quanto astratti e impropri questi termini possano suonare. Abbiamo affermato che il gol di Rakitić abbia scoperchiato nuovamente il vaso di Pandora, abbia nuovamente rivelato che il re è nudo. Abbiamo detto più volte che il Barcelona sta scontando in questi anni problemi di lunga durata (ne abbiamo parlato qui). Problemi mascherati solamente da una generazione unica nella storia di questo sport e dalle gesta di un giocatore unico, inimitabile e irripetibile.
Questa estate, inoltre, abbiamo espresso un nostro parere sulla vicenda surreale che ha rischiato di recidere bruscamente i fili di questo campione con il Barcelona. Ci siamo chiesti se la sua permanenza avrebbe rappresentato una panacea ai mali di una squadra in crisi d’identità o se, invece, avrebbe acuito definitivamente i dolori dei blaugrana.
Non sarà una partita a dare una risposta definitiva ad una delle involuzioni più misteriose e affascinanti di quest’epoca a livello calcistico. Né sarà la prima sconfitta con più di un gol subito dopo 15 match nella fase ad eliminazione diretta a questionare le cause della trasformazione di questa squadra.
Non è nostra intenzione, del resto, chiederci come sia possibile che un club con un tale blasone abbia alternato prestazioni leggendarie a rovesci disastrosi e umilianti, di cui tutti i tifosi sono ben al corrente. Né, tantomeno, vogliamo analizzare la situazione del Barcelona e i fantasmi che lo perseguitano ormai dal lontano 2015, anno dell’ultimo urrà in Europa e della perdita di quell’aura di invincibilità che aveva contraddistinto il club catalano nel quinquennio precedente. Cosa vogliamo dunque esprimere quest’oggi, dopo aver assistito ad un PSG che ha violato il sacro tempio del Camp Nou con la sua prestazione migliore di sempre, probabilmente, in Europa?
Il PSG ha superato la prova di maturità
Innanzitutto, bisogna rendere onore al Paris Saint-Germain. La squadra francese ha condiviso con il Barcelona una storia costellata da fallimenti costanti sul palcoscenico più importante del continente, riuscendo solo nell’ultima, anomala edizione a vincere i propri fantasmi, i propri tabù, e ad accedere alla finale di Champions League, persa poi contro il Bayern Monaco.
Questo roboante 1-4 sancisce i progressi compiuti dal club parigino, la prima squadra francese ad uscire vittoriosa dal Camp Nou in Champions League. Tralasciamo le ombre della figura di Al-Khelaifi o l’immensa fiumana di denaro che ha irrorato le casse della società e che ha convinto alcuni dei migliori giocatori al mondo ad unirsi al club. Evitiamo di soffermarci anche sulla scarsa competitività della Ligue 1, concetto messo parzialmente in crisi in questa stagione. Diciamolo chiaramente: il PSG sta finalmente maturando una mentalità europea. Un concetto astratto che indica una nuova consapevolezza ormai acquisita dalla squadra, attesa per quasi dieci anni e che finalmente sta dando i suoi frutti.
La squadra non si è scomposta allo svantaggio, ha reagito e aggredito costantemente la fragile difesa del Barcelona, costretta a capitolare ripetutamente sotto i lampi del miglior elemento dei parigini. Solo pochi anni fa, non saremmo stati sicuri che il Paris sarebbe stato in grado di gestire una situazione del genere. Questa partita è la prova provata che, al netto delle assenze, il club parigino non solo ha acquisito consapevolezza dei suoi mezzi, ma ha compreso come sfruttare al meglio le armi nel proprio arsenale. A differenza di un Barcelona confuso e intimidito.
Dei complimenti ridondanti
Risulterebbe pleonastico elogiare ulteriormente la prova di Kylian Mbappé, un ragazzo che, da novello Alessandro Magno, si è erto a campione del mondo con la sua Francia a 19 anni. Non scopriamo di certo con questo match che il numero 7 è destinato a portare sulle proprie spalle la pesante eredità del duopolio Messi-Cristiano Ronaldo. Parliamo di un giocatore del 1998 che è già il terzo miglior marcatore nella storia del suo club, con 111 gol in 153 partite. Ciò che stupisce maggiormente, ma non troppo, è che Mbappé abbia mostrato di essere da tempo pronto e disposto ad assumersi questa responsabilità alla sua giovane età.
Non sono i 9 dribbling vinti su 10 totali, i 4 passaggi chiave, i 3 gol su 6 tiri totali o i 12 contrasti vinti su 15. No, on sono i numeri di ieri sera a lasciarci sbalorditi. È l’eleganza e la rapidità con cui ha controllato un assist delizioso di Verratti in occasione del pareggio. Oppure il senso della posizione in occasione dell’1-2, sulla cavalcata perentoria di Florenzi e la corta respinta di Ter Stegen. È la lucidità e la freddezza nel realizzare una conclusione esteticamente mozzafiato dopo quaranta metri di corsa a sostegno del compagno in occasione del contropiede. A soli 22 anni, Kylian Mbappé è il passato, il presente e il futuro di questo sport, un nuovo fenomeno globale destinato a vincere tutto.
Spezzare una lancia in favore di Leo Messi
Se Kylian Mbappé ha già coperto e coprirà con le sue giocate una nuova era del gioco del calcio, oggi riscopriamo di nuovo un Lionel Messi affranto. Ormai ci siamo abituati a vederlo in queste nuove vesti, naufrago in mezzo alla tempesta che squassa la sponda blaugrana della Catalogna. Braccia sui fianchi, sguardo perso nel vuoto: solo gli avversari cambiano, sullo sfondo; la posa rimane quasi sempre la stessa. Tanto che sull’argentino, da sempre al centro dell’infinita e stucchevole diatriba dei tifosi sulla rivalità tra lui e Cristiano Ronaldo, ieri sera sono piovute numerose critiche.
Eppure, nonostante la tetra serata, Messi si è comunque distinto. Ha trovato il gol, è stato uno dei più propositivi, se non il migliore in campo dei suoi. Non è stato sicuramente aiutato da uno spento Griezmann, altro spettacolo ricorrente in quel di Barcelona, e da un impreciso, a dir poco, Dembélé. Persino in questa occasione ha trovato dei record da superare. Arrivato a quota 28 gol in 31 partite negli ottavi di finale della competizione, ha centrato la rete per il 17esimo anno consecutivo in Champions League, 2005 compreso. Semplicemente il divario tecnico e fisico tra il Barcelona e il PSG del suo proclamato erede Mbappé era troppo evidente.
Cosa deve fare, dunque, il Barcelona?
Il Barcelona ha meritato di perdere questa sera. I fantasmi continuano a moltiplicarsi e a tormentare l’animo perturbato del club catalano. Quello che serve a questa squadra non sono critiche demoralizzanti. Il Barcelona deve seguire la strada che il PSG ha tracciato: imparare dai propri errori, senza lasciarsi abbattere da questi. Deve capire dove nascono queste fragilità, distruggere i derelitti idoli che lo legano al passato, senza successo. Quindi bisogna volgere lo sguardo al futuro, ad una programmazione seria ed efficiente del club. Il Barcelona deve spogliarsi definitivamente del pesante obbligo di vincere tutto e subito per poter ambire a tornare dove si è abituato ad essere negli ultimi anni. Deve comprehendere i propri errori, farli propri, renderli tangibili e ritrovare la sua strada. Non sarà questa sconfitta a cancellare quel che è stato, ma sarà compito del Barcelona creare nuovamente i presupposti della rinascita.
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Immagine di copertina tratta da: Opinion Boliviana