Andreas Brehme è riconosciuto come uno dei migliori difensori di tutti i tempi. Nel corso della sua carriera è diventato grande nel Bayern di Monaco, prima di consacrarsi come leggenda all’Inter e in Nazionale. Terzino sinistro instancabile e molto propositivo, faceva del tiro e del cross le sue armi migliori.
In un caldo pomeriggio di inizio luglio, dal cielo terso e limpido che dall’alto guardava una terra meravigliosa, come un fulmine arrivò l’ispirazione.“E se invitassimo Andreas Brehme a prendere un caffè virtuale? A fare una chiacchierata a distanza?”Il piano sembrava folle, ma il buonumore della bella stagione non diede spazio a fatalismi: gli scrissimo. Poco tempo dopo il telefono squillò e, nel giro di qualche minuto, in redazione fummo tutti sopraffatti dalla gioia. Abbiamo adesso il piacere di raccontarvi Andreas Brehme, Campione del Mondo a Italia ’90.
“I terzini moderni sono delle ali arretrate a tutti gli effetti, soprattutto se paragonati a quelli degli anni ’80 e ’90. Tuttavia, ho avuto la fortuna di essere allenato da Trapattoni all’Inter e da Beckenbauer nella Nazionale: entrambi erano dei visionari e appoggiavano le mie sortite offensive. All’epoca ero in grado di correre moltissimo.”
Andy Brehme
E non so ancora se sia destrorso
Con un pizzico di nostalgia, Brehme ci raccontò dei suoi anni migliori, del magico periodo in nerazzurro e in Nazionale che ha attraversato gli anni dal 1988 al 1992. In quegli anni, vi erano davvero pochi calciatori in grado di rivaleggiare con il tiro del tedesco: Brehme era perfettamente ambidestro, in grado di calciare con precisione inarrivabile con entrambi i piedi sia in corsa che da fermo. Rigorista infallibile, specialista dei calci piazzati, naturalmente sia di destro che di sinistro, le sue sortite in avanti si tramutavano in incubi per i portieri avversari.
L’allenatore e amico di lunga data Franz Beckenbauer ebbe a dire di lui: “Lo conosco da vent’anni e non so ancora se sia destrorso o mancino.”
Questo era Andy Brehme, una saetta imprendibile sulla fascia, pericoloso anche da distanze siderali.
Le origini
Cresciuto nelle giovanili del Barmbek – squadra della periferia di Amburgo – Brehme passò al Kaiserslautern a 21 anni, nel 1981. In cinque stagioni con la maglia dei diavoli rossi disputò 154 partite, mettendo a segno 34 goal. Numeri impressionanti, per un difensore. Le sue abilità vennero notate in Baviera, e fu così che nell’estate del 1986 Andy si trasferì al Bayern München. A Monaco incontrò una vecchia conoscenza, che aveva condiviso con lui il cammino nelle nazionali giovanili.
“Lothar Matthäus è senza dubbio il miglior compagno di squadra che abbia mai avuto. Ci siamo conosciuti in nazionale giovanile, e abbiamo giocato insieme per molti anni in Nazionale, al Bayern e poi all’Inter.”
Senza l’intervento di Matthäus, Brehme non avrebbe mai vestito la maglia nerazzurra. “Quando l’Inter acquistò Lothar, fu lui a suggerire alla dirigenza di prendere anche me. Dopo qualche giorno di insistenze, arrivai anch’io a Milano.”
L’Inter dei tedeschi
A distanza di oltre trenta anni molti tifosi ringraziano ancora la caparbietà di Matthäus, dato che il Brehme visto all’Inter fu uno dei migliori terzini della sua generazione.
Trapattoni ebbe l’intuizione di spostarlo sulla fascia sinistra, e il biondo difensore si rivelò fondamentale per la conquista dello scudetto dei record nell’annata 1988/89.
Per completare la squadra, la dirigenza nerazzurra puntò su un altro tedesco, completando un terzetto di livello assoluto: il potente centravanti Jürgen Klinsmann.
“Mi trovavo davvero bene all’Inter: io e Lothar eravamo amici da una vita, e in seguito anche Klinsmann si aggiunse al gruppo. Lo conoscevamo per via della nazionale, e gli fu facile integrarsi con noi. I rapporti erano ottimi anche con il resto della squadra: il gruppo era molto unito, e tutti ci aiutavamo a vicenda.”
Andy Brehme
Il successo
Il biennio seguente è ricco di soddisfazioni per Brehme: ad una Supercoppa Italiana e una Coppa Uefa si unisce infatti il trofeo che ogni calciatore sogna di alzare: la Coppa del Mondo. Nel 1990, la Germania voleva vendicarsi della sconfitta subita quattro anni prima per colpa dell’Argentina. Nella finale di Roma, i due fuoriclasse più attesi erano el pibe de oro Maradona per l’Albiceleste e il futuro Pallone d’Oro Lothar Matthäus per die Mannschaft. Ma a prendersi la scena fu Andy Brehme.
Il sogno di ogni bambino
“Rigiocherei mille volte quella partita: vincere il Mondiale è il sogno di ogni bambino. L’atmosfera a Roma era incredibile, la notte della finale.”
A cinque minuti dalla fine l’arbitro Méndez fischiò un calcio di rigore per i tedeschi per un intervento di Sensini sul romanista Rudi Völler. Sul dischetto si presentò Brehme, capelli sciolti al vento e sguardo di ghiaccio.
“In situazioni di questo genere non c’è tempo per le emozioni. Ho fatto ciò per cui mi sono allenato per tutta la mia vita, concentrandomi solo sul mio lavoro.”
Andy decise di calciare con il destro, a suo parere più preciso del sinistro, più potente. Il portiere argentino Goicochea intuì, tuffandosi alla sua sinistra, ma il tiro era troppo angolato. Germania campione del Mondo e Brehme portato in trionfo, eroe di una notte magica baciata dal caldo cielo della città eterna.
Un grande anno
La grande stagione gli valse il terzo posto nella classifica del Pallone d’oro, alle spalle di Totò Schillaci e dell’amico Matthäus. “Per un difensore è difficile poter ambire al Pallone d’Oro. Ma quell’anno arrivai terzo e fui inserito nella formazione dell’anno della FIFA: per me è stato un grande onore.”
Fu un grande anno anche per la nazione tedesca: il muro di Berlino era stato abbattuto da poco, e la Germania era riunita per la prima volta da decenni sotto le note di Wind Of Change.
“Anche se in squadra provenivamo tutti dalla parte Ovest, giocavamo per un’intera nazione e sapevamo che c’erano tantissimi tifosi dell’Est venuti a supportarci durante il Mondiale.”
Come le notti magiche e le estati mondiali, anche il nostro caffè finì. Andy dovette tornare alle sue attività quotidiane, e noi in redazione alle nostre. Ma per un giorno, cari lettori, possiamo dire di aver preso un caffè virtuale con un campione del mondo.
Intervista a cura di Andrea Margutti e Cosimo Giordano. Si prega gentilmente di citare Sottoporta in ogni riproduzione su altre parti.
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Foto di copertina tratta da: marca.com