Alec Cordolcini, autore de La rivoluzione dei tulipani e Pallone desaparecido, è una firma perspicace, autorevole e dalla penna affilata, nonché uno dei massimi esperti di calcio internazionale ed è tutto per voi, in una nuova, succulenta, intervista targata Sottoporta.
Alec Cordolcini ha scritto pagine di valore indiscusso, Pallone desaparecido dovrebbe essere presente nella libreria di chiunque ami leggere: non è solo sport, non è semplicemente un pallone che rotola, è tanto altro. E Alec lo sa bene.
Qual è la condizione del calcio belga?
La generazione d’oro si avvia verso i trenta, anzi, molti li hanno già superati. Alle spalle non c’è un ricambio di pari livello, ma sarebbe impensabile pretenderlo. Elementi come Hazard, De Bruyne, Witsel, Lukaku o Courtois non sbocciano ogni 3-4 anni. In patria le conseguenze della pandemia sono ancora tutte da verificare, i piccoli campionati che non vivono di diritti televisivi appaiono destinati a un ulteriore ridimensionamento, incluse quindi anche le spese nei vivai. Ma sono tutti discorsi ipotetici. In Olanda, ad esempio, esiste un fondo governativo a cui possono accedere le società di calcio, ovviamente rispettando determinati parametri. In Belgio invece la situazione è più
nebulosa.
Perchè non si parla quasi mai del Bruges degli anni Settanta, del calcio svedese tra gli Ottanta e i Novanta e cosa ha portato il declino calcistico in territori come Belgio e Svezia?
Detto brutalmente, il calcio belga non ha appeal, non è cool. Quantomeno non prima della generazione Hazard. Il Belgio non ha mai avuto un’Ajax, nonostante l’Anderlecht dei tempi d’oro abbia espresso un calcio di altissima qualità. Ma è entrato solo nell’immaginario degli appassionati, non dei tifosi più generalisti. Il Belgio non ha avuto un Cruijff, o meglio, lo ha avuto – Paul van Himst – ma è rimasto confinato nella nicchia, anche per un discorso legato ai risultati internazionali.
Per il resto, dal Brugge al Mechelen, le squadre belghe che hanno fatto strada nelle coppe si sono imposte grazie a un approccio fisico, solido e tignoso. Lo stesso che ha per lungo tempo caratterizzato la nazionale. Un discorso simile lo si può fare per la Svezia. Il declino di tutto il calcio alla periferia dell’impero ha un nome e un cognome: Jean-Marc Bosman. Scopro l’acqua calda, ma quella sentenza ha davvero cambiato tutto.
La nazionale olandese può ambire a lasciare il segno?
Le macerie post Mondiale 2014 sono state rimosse. Ronald Koeman ha fatto un ottimo lavoro, tattico ma soprattutto psicologico, ridando compattezza e credibilità a un movimento un po’ smarrito. Sebbene sia snobbata dai media a livello di competizione, la Nations League è stata molto importante per l’Olanda. Battere Germania e Francia in un trofeo vero, piuttosto che in una semplice amichevole, è stata una medicina fondamentale e una grande iniezione di fiducia per gli elementi di spicco del cambio generazionale. Oggi l’Olanda ha un trio difensivo da oltre 200 milioni di euro di valore (Van Dijk, De Ligt, Aké), due prospetti di assoluto livello come Frenkie de Jong e Donny van de Beek, un centrocampista totale nel pieno della maturità (Wijnaldum) e un all-rounder d’attacco dalle qualità indiscutibili (Depay). Guardando come stavano le cose cinque anni fa, non si può che essere ottimisti.
Consigli tre località, a tema calcistico, da visitare nel 2021?
Scelgo tre rotte alternative perché le grandi città di calcio le conosciamo tutti.
1- Leeds: la Premier è sempre uno spettacolo e il Leeds United vi è tornato dopo dieci anni di Championship. Con Marcelo Bielsa come ciliegina sulla torta.
2- Anversa: con la scusa del ritorno dopo anni di un derby molto sentito, ma poco noto, quello tra Royal Antwerp e Beerschot, si può visitare una città meravigliosa e, come nel caso del suo derby, poco considerata.
3- Salisburgo: testata d’angolo del network Red Bull che tanto sta facendo parlare di sé per la capacità di coniugare investimenti e risultati sportivi. Magari si può vedere all’opera in anteprima il nuovo Haaland, oppure il nuovo Manè.
Quali sono le partite, viste dal vivo, che l’hanno segnata di più?
Germania Ovest-Colombia a San Siro per Italia ’90, perché la prima partita Mondiale dal vivo non si può dimenticare, anche se non fu un grande match. Ma tornai a casa comunque soddisfatto perché la mia Colombia – negli anni dell’adolescenza Renè Higuita era il mio idolo assoluto – aveva strappato il pari allo scadere. Poi la mia “prima” di A, Como-Juventus 0-1 nel settembre 1985, gol di Sergio Brio. Infine mi piace ricordare quando ho avuto il privilegio, in maniera assolutamente causale, di vedere nascere un campione: febbraio 2003, stadio De Kuip di Rotterdam, in Coppa d’Olanda il Feyenoord demolisce 6-1 l’AGOVV Apeldoorn. Cinque reti le segnò il 17enne Robin van Persie. Capitai lì per caso: mi trovavo in Olanda dalla fidanzata dell’epoca e per me era sufficiente andare a vedere il Feyenoord, indipendentemente dall’avversario.
Nel 2020 perchè un bambino dovrebbe appassionarsi al calcio? E il giovane Alec, da cosa è stato spinto?
Per le stesse ragioni che aveva un bambino negli anni ’80: il piacere di un gioco semplice, intuitivo e alla portata di tutti. Non importa se all’epoca la miccia per accendere la passione si chiamava Oliver Hutton e oggi risponde ai nomi di Messi o Ronaldo. La magia che una partita di calcio può trasmettere a un bambino è la medesima, così come la voglia di scoprire squadre e giocatori. Solo che oggi non deve attendere un Mondiale, un Europeo o le partite di coppa contro le italiane per
avere le informazioni desiderate. Ai suoi occhi il calcio è puro: tutte le componenti negative legate a questo mondo arriveranno in seguito. Io sono stato spinto dal Guerin Sportivo, che compravo per
la presentazione dei campionati esteri con tutte le maglie delle squadre disegnate, e da Messico ’86, il mio “primo” Mondiale. Nonostante a Spagna ’82 avessi 6 anni, non ho alcun ricordo di quella coppa del mondo, forse perché non era ancora scattata la molla.
Un pensiero sul Wolverhampton.
Un modello societario che non mi piace, perché di fatto è la squadra di un procuratore. Un progetto sportivo per contro molto valido, condotto da un tecnico, Nuno Espirito Santo, che già in passato aveva mostrato buone cose. Due settimi posti in Premier e i quarti di Europa League penso dicano più di tante analisi, considerando che il Wolverhampton tre anni fa giocava nel Championship.
Alec Cordolcini crede nell’ipotesi Superlega? Il calcio di provincia rischia di essere davvero eclissato nel giro di un paio di decenni?
La Superlega la stanno di fatto creando attraverso campionati sempre meno competitivi a causa del divario sempre crescenti tra le società top e il resto. Solo che, Inghilterra e Spagna a parte, in altri campionati la società top è solo una, e questo porta a uno svilimento del valore del titolo nazionale. La Juventus ha esonerato per due anni di fila gli allenatori dello Scudetto. Pur non essendo un nostalgico del calcio di ieri, credo che la Superlega sia tanto esecrabile, a livello di
concetto sportivo, quanto inevitabile nel medio periodo per ciò che è diventato il calcio di elite. Oggi la Champions League è, fino agli ottavi, una competizione avvincente come una fiction Mediaset (o Rai, fa poca differenza) del sabato sera. Juventus-Liverpool è più interessante di
Juventus-Young Boys, e non sempre può arrivare l’Ajax di turno a sparigliare le carte. Quindi sì, credo che la Superlega si farà, anche se non mi piace minimamente.
Grazie Alec: mai banale, davvero mai.
Intervista a cura di Luigi Della Penna. Si prega gentilmente di citare Sottoporta in ogni riproduzione su altre parti.
Su Sottoporta, tutto il meglio del calcio internazionale: David Silva e il cammino per la bandiera
Fonte foto di copertina: archivio personale di Alec Cordolcini
Una risposta su “Intervista a… Alec Cordolcini”
Bella intervista, ottime risposte di chi si intende veramente di calcio.