Abbiamo avuto l’onore di intervistare Ilyas Zeytulaev, il primo calciatore uzbeko a giocare in Italia. Ecco cosa ci ha raccontato, dalle prime esperienze al suo rapporto con la religione.
Una chiacchierata nata quasi per gioco, tramite un messaggio sui social network, dopo aver scorto sugli annali un nome che non può far altro che suscitare curiosità. Al resto hanno pensato la disponibilità e la gentilezza di Ilyas Zeytulaev, che ci ha concesso una lunga intervista su molti temi a lui cari.
Il calcio nel DNA
“Il calcio è stata una parte integrante della mia vita: mio padre era allenatore e già a tre o quattro anni lo seguivo dappertutto, dagli allenamenti alle trasferte. Ho passato molto tempo ad osservare le partite degli adulti, di conseguenza è stato naturale avvicinarmi al calcio. Mi allenavo sognando, un giorno, di giocare in stadi pieni. Questo mi ha motivato molto, ma i sogni non sono tutto. Nella vita di un calciatore è necessaria molta disciplina fin dalla giovanissima età, difatti quando frequentavo le scuole calcio a Tashkent mi allenavo tre volte al giorno. In più dovevo andare a scuola, per cui già da bambino ho imparato che per raggiungere un obiettivo si devono fare delle scelte e dei sacrifici.”
Quali sono i ricordi migliori della carriera di Ilyas Zeytulaev?
“I momenti più belli sono probabilmente legati alla Nazionale uzbeka. Potrei dirti il Mondiale U-20 del 2003, nel quale sfidammo l’Argentina e la Spagna, ma soprattutto l’esordio in Nazionale maggiore. Anche per quanto riguarda le squadre di club ricordo con piacere due episodi. Il primo è il gol che segnai nel play-out di C1 tra Hellas e Pro Patria (nel maggio 2008, ndr), grazie al quale il Verona si salvò. L’altro momento che porterò sempre nel cuore è l’esordio con la prima squadra della Juventus, avvenuto contro la Sampdoria in Coppa Italia. All’epoca l’allenatore era Marcello Lippi, uno dei migliori che ho avuto la fortuna di conoscere, insieme a Sarri e Gasperini“.
Hai qualche rimpianto?
“Oggi che sono adulto ti dico di sì, ma credo che facciano parte della crescita di ognuno. Da giovane si danno molte cose per scontate: avrei voluto essere più saggio, riconoscere meglio le dinamiche della vita per fare scelte più oculate e – soprattutto – avrei voluto conoscere prima la fede.”
From Tashkent with Love
Con Ilyas Zeytulaev abbiamo poi ripercorso i primi passi della sua carriera, partendo dai tornei giovanili in patria sino all’interesse mostrato dalla Juventus, che lo ha tesserato sul finire degli anni ’90: “Alla scuola calcio di Tashkent avevamo una TV e spesso trasmettevano le partite di Serie A, di Premier League o addirittura della Champions. Vedere l’atmosfera di stadi come San Siro mi faceva sognare: fisicamente mi trovavo in Uzbekistan, ma con il pensiero ero già in Italia!”
“Io in quegli anni non facevo altro che impegnarmi negli allenamenti: i vari provini che mi sono stati proposti sono stati la naturale conseguenza di ciò. Credo infatti che non si debbano mai forzare le cose. Se Dio vuole che una cosa accada, accadrà. Un giorno arrivò uno scout e mi invitò a fare un provino in Russia, dove rimasi due anni e mezzo. Con questa scuola calcio di Mosca facevamo diverse tournée in Europa e venni notato dal Bordeaux, dal Feyenoord ed in seguito dalla Juventus. Dopo un mese in prova, la Juve decise di tenermi ed io non ho mai avuto dubbi: ero pronto a questa sfida.”
Sei stato il primo uzbeko ad aver giocato nel Campionato italiano. Cosa si prova ad aver legato il tuo nome ad un primato così particolare?
“Oltre ad essere stato un grande orgoglio per me, è stato anche un periodo molto bello. Rappresentare il mio paese all’estero – specialmente perché mi trovavo in Italia – mi dava stimoli davvero importanti. Il risvolto della medaglia di questa situazione è che. come detto in precedenza, ero troppo giovane: avrei voluto gestirla meglio, con più saggezza ed umiltà.”
Da Zeytulaev all’Eldor-ado
Zeytulaev è stato il primo, ma non l’ultimo uzbeko a giocare in Italia. Gli abbiamo chiesto un parere su Eldor Shomurodov: “Quando ho saputo che Shomurodov sarebbe andato al Genoa ho rivissuto queste sensazioni. Ero felice che ci fosse un altro uzbeko in Serie A e non avevo dubbi che avrebbe potuto fare bene. D’altronde, al momento del suo arrivo in Italia, era già un calciatore ben formato in seguito alla sua esperienza nella Prem’er-Liga russa. Non conosco bene Eldor, ci siamo scambiati qualche parola e gli ho detto che – se avrà bisogno – sarò disponibile. È un ragazzo in gamba, umile ed un grande lavoratore: credo che rappresenti bene il popolo uzbeko per i sacrifici che è disposto a fare; per cui gli auguro di tenere duro, se lo merita.”
Quali sono le difficoltà che un giovane calciatore affronta trasferendosi all’estero, specie in paesi dove il calcio è più sviluppato?
“Sono difficoltà che ho incontrato anche io, possono essere innanzitutto culturali e linguistiche. A primo impatto possono apparire barriere insormontabili, ma niente è impossibile se è la passione a guidarti: pian piano si deve scoprire la cultura del paese nel quale arrivi. Ciò si riflette anche sull’aspetto calcistico, se non si superano questi ostacoli si rischia di non comprendere a pieno gli aspetti tecnico-tattici su cui gli allenatori insistono; ma molto dipende dalla forza di volontà del calciatore stesso. Niente è impossibile.”
La Nazionale…
Ilyas Zeytulaev ha vestito per dieci volte la maglia della propria selezione, mettendo a segno due reti. Anche il futuro della nazionale uzbeka – in seguito alla mancata qualificazione a Qatar2022 – è stata argomento della nostra intervista. “Sicuramente vedere la propria nazionale ai Mondiali è sempre un orgoglio, ma le cose non sono andate come speravamo: è chiaro che ci sia rammarico. Per quanto riguarda i Mondiali del 2026, non vivendo in Uzbekistan, non so con precisione cosa manchi e se ci sono tangibili possibilità di qualificarsi. L’importante è provarci fino in fondo, per tornare ad essere una Nazionale quotata a livello asiatico e dare fastidio alle “big” come Corea, Giappone e Australia.”
“Ricordo che da piccolo andavo a vedere la Nazionale e c’erano calciatori molto forti. Ricordo, ad esempio, Abduraimov, Maqsudov, Bugalo, Mirjalol Qosimov… Credo che l’Uzbekistan possa tornare ad essere una squadra di livello, lavorando duramente e coltivando sempre il sogno di qualificarsi al Mondiale. Inoltre ritengo che la figura di Héctor Cúper (CT dell’Uzbekistan a cavallo tra il 2018 e il 2019, ndr) sia importante, esperta, ed abbia innescato un processo di sviluppo del calcio uzbeko. Mi auguro che abbia avuto il modo di tramandare le sue conoscenze alla Federazione: è importante trarre consigli ed insegnamenti da allenatori del suo calibro.”
…e il movimento
Qual è il grado d’evoluzione del movimento calcistico uzbeko?
“Quando ero un ragazzino la scuola uzbeka era molto forte, gli allenatori sapevano il fatto loro. Le sessioni richiamavano i metodi dell’Unione Sovietica: molto lavoro analitico che veniva abbinato ad allenamenti situazionali, per cui sotto il piano individuale l’Uzbekistan ha sempre avuto buoni calciatori. Il tallone d’Achille risiedeva nel lato tattico, nel lavoro collettivo, difatti quando incontravamo nazionali come Italia, Germania o Brasile andavamo in difficoltà.”
“Oggi, invece, so che la Federazione sta facendo un lavoro importante per portare il calcio a crescere, e i giovani prospetti non mancano affatto. Purtroppo, però, non vivendo più in Uzbekistan da tanti anni non saprei dirti con precisione a che punto sia lo sviluppo del nostro movimento e del nostro campionato. Ricordo che alcuni anni fa il Bunyodkor prese Rivaldo e Denílson, oltre ad ingaggiare Felipe Scolari come allenatore, costruendo una squadra davvero stellare nel tentativo di vincere la Champions League Asiatica. Credo che gli investimenti fatti per mettere in piedi un team di quel livello si potessero utilizzare a 360°, per dare una base solida a tutto il movimento uzbeko, a cominciare dai settori giovanili.”
C’è qualche calciatore uzbeko che ti senti di consigliarci, del quale sentiremo presto parlare?
“Come detto in precedenza, vivendo lontano dall’Uzbekistan, non li conosco benissimo e per rispetto non me la sento di fare qualche nome in particolare. In compenso mi sento di consigliare agli osservatori di guardare al nostro campionato senza pregiudizi: i calciatori talentuosi non mancano. Oltre a Shomurodov, per esempio, si è affacciato al grande calcio europeo anche Jasurbek Yaxshiboyev dello Sheriff, in Moldavia. Spero – ma ne sono convinto – che ci sarà presto qualche “nuovo Eldor” a rappresentare ad alti livelli il nostro paese in Europa.”
Mister Zeytulaev
Sappiamo che hai intrapreso la carriera da allenatore…
“Dopo aver smesso con il calcio giocato avevo le idee molto chiare ed ho iniziato questo cammino: mio padre era allenatore e mi piaceva il pensiero di passare dal campo alla panchina. Ho cominciato dal settore giovanile, per poter crescere e fare esperienza in questo nuovo ruolo, e due anni fa ho conseguito il patentino “UEFA A” a Coverciano. Vorrei continuare questo percorso, mi piace molto, anche se ammetto che sia più stressante che fare il calciatore!”
Qual è la tua aspirazione?
“Mentirei se ti dicessi che voglio arrivare chissà dove, la vita mi ha insegnato a ragionare giorno per giorno. Valuterò qualsiasi occasione mi si presenti, che sia a livello giovanile o che sia a livello di Prima Squadra, e cercherò di portarla avanti con impegno, dedizione e professionalità. Anche per quanto riguarda un eventuale ritorno in Uzbekistan lascio tutto nelle mani di Dio. Ogni opportunità lavorativa, in Italia o all’estero, verrà valutata con la mia famiglia: ora che non sono più da solo bisogna tenere conto di tutti i possibili fattori. Sicuramente ho intenzione di mettere in pratica ciò che ho imparato in questi anni. Quando torno in Uzbekistan – in vacanza – mi piace andare nel villaggio dove mio padre ha il centro sportivo ed allenare i bambini. Voglio lasciare loro qualcosa che ho imparato in un paese di alto livello come l’Italia.”
Il calcio fuori dal campo
Le ultime domande che abbiamo posto a Zeytulaev riguardano due aspetti che – apparentemente – hanno poco a che fare con il mondo del pallone, ma che nella realtà dei fatti possono permearlo ed avere riflessi sulla vita calcistica: politica e religione.
Qual è il rapporto tra calcio e politica in Uzbekistan?
“In generale il governo uzbeko è sempre stato bravo a tenere separati i due ambiti, trattando lo sport per ciò che è. Da noi non ho mai notato la promozione di ideologie o un’influenza politica all’interno dello sport. Sappiamo bene che in Europa, ma anche nell’Italia stessa, ci sono stati dei Presidenti i quali avevano anche un ruolo politico. I due aspetti rischiano di essere mescolati e, magari, vengono acquistati dei calciatori non tanto per il bene della squadra ma sperando di avere un beneficio politico. Credo che dunque si debba dare atto al governo uzbeko di aver mantenuto questo equilibrio e questa tranquillità, anche in seguito al periodo particolare vissuto a cavallo fra gli anni Ottanta e Novanta. (L’Uzbekistan ha dichiarato ed ottenuto l’indipendenza dall’URSS sul finire del 1991, ndr).”
Come anticipato pocanzi, l’ultima domanda riguarda la religiosità: Ilyas Zeytulaev, difatti, fa parte degli Atleti di Cristo. Gli abbiamo chiesto qualche informazione a riguardo.
“Gli Atleti di Cristo non sono altro che personalità sportive, le quali leggono la parola di Dio, meditano e cercano di mettere in pratica gli insegnamenti del Signore. Mi farebbe davvero piacere se inserissi queste parole, che secondo me spiegano perfettamente ciò che siamo, tratte dal Vangelo di Giovanni e pronunciate da Gesù Cristo stesso: “Io sono la luce del mondo. Chi mi segue non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita”. Ci tengo infatti a sottolineare che noi Atleti di Cristo non ci sentiamo parte di un’associazione. Siamo uomini e donne – e come tali sbagliamo – che seguono gli insegnamenti di Cristo e cercano di diffondere la buona notizia nel mondo, specialmente in quello sportivo.”
Intervista a cura di Matteo Giribaldi. Si prega gentilmente di citare Sottoporta in ogni riproduzione su altre parti.
Sul sito di Sottoporta e sulla nostra rivista – Sottoporta Review N°1 – trovate tutto il meglio del calcio internazionale: Il curioso caso del Wellington Phoenix
Foto di copertina fornitaci da Ilyas Zeytulaev