Argentina-Italia: trait d’union di un mondo frammentato, il calcio è da sempre un modo per accostarsi alla storia di paesi e città, tra valori, costumi, speranze e paure di popoli interi.
Gioco semplice e universale. Basta una palla, un fagotto di calzini, una sfera qualsiasi, e il resto è duttile, il numero di giocatori, la durata della partita, il campo di gioco, cosi come il fondo, cemento, asfalto o terra battuta. Rami o bottiglie a comporre le porte.
Egualitario e meritocratico, trascende le frontiere regionali, sociali e religiose di un paese. Nelle nostre società, la cui unità è appesa a un filo, travagliate da odi di classe e conflitti etnici, il calcio, e in particolare modo la nazionale, funge da collante fondamentale.
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Proprio per questi motivi dopo le ultime liste stilate dai CT azzurri Mancini e Nicolato, sono saltati all’occhio due nomi, finora sconosciuti, nati e cresciuti nel paese oltreoceano in cui in passato i nostri avi emigrarono. Tra polemiche e stupore, Retegui e Zapelli sono gli ultimi due giocatori oriundi che sono riusciti a farsi largo nelle fila azzurre. Per capire il forte legame che da sempre caratterizza la nazionale italiana di calcio e i giocatori nati e cresciuti in Argentina, dobbiamo fare un salto nel passato per scoprire dove nascono questi talenti che, seguendo le proprie origini, ci hanno aiutato a vincere prestigiosi trofei. La connessione Argentina-Italia è importante.
Il calcio è vita
In Argentina non esiste niente di più forte del calcio. Le grandi città sono vere e proprie roccaforti calcistiche, nelle quali i ritmi quotidiani vengono scanditi dallo sport che amiamo.
A Buenos Aires si respira calcio per strada, tra i barrios, sugli sterrati. Si gioca a livello amatoriale, tra rabone e dribbling, anche fino a 70 anni con pizza o asado dopo il fischio finale.
Soprattutto, non bisogna percorrere troppa strada se si è in cerca di uno stadio.
Insicuri, scomodi, arretrati, spesso pericolosi. Un’indagine pubblicata sul quotidiano spagnolo El Pais rivela che non c’è città al mondo con più impianti sportivi della metropoli sudamericana, un contenitore da 13 milioni di abitanti. Gli stadi con almeno 10 mila posti a sedere sono 36.
Come cantava Eladia Blazquez nel 1970 in “Domingos de Buenos Aires”, la routine domenicale degli incha argentini è un qualcosa di sacro:
“Dopo la pasta e la siesta/senza telefono e senza rumore/quando si accende la radio/il compagno, lo stadio/E gridare al GOL!”.
Dai grandi stadi, dove la passione dei tifosi è sfrenata e infuoca gli animi delle persone, bisogna però spostarsi nelle vie delle città. Tra erbacce e spazi vuoti invasi dai ragazzini del barrio, si gioca il calcio nella sua forma originale e più pura. Su quelle superfici irregolari e spesso esigue, solo i piú bravi dribblatori possono cavarsela.
Rapidi e leggeri, improvvisano, si intrufolano e giocano d’astuzia. L’abilità, il fascino prevalgono sulla forza fisica, in campo cosi come negli angoli malfamati della metropoli, per sopravvivere trasferiscono le regole della strada.
Un tempo terra di Gauchos, liberi di galoppare nella pampa, oggi è il “pibe”, figura legata al calcio, a farla da padrona. Scaltro, individualista, dal gioco sconcertante. Il suo regno è il Potrero (così vengono chiamati i campetti di quartiere). Anche lui è una creatura indocile, refrattaria a qualunque autorità; impulsivo e irresponsabile, un monello, in campo come nella vita.
Da questo popolo, grazie a una tradizione secolare e a una passione sfrenata, sono nati e cresciuti centinaia tra i migliori calciatori al mondo. Questi oggi caratterizzano il panorama europeo e che come nel caso del Mondiale di Qatar 2022 regalano gioie immense a un paese da tempo afflitto da gravi conflitti interni, che sembra trovare pace solo grazie all’Albiceleste.
Nel corso della storia però, tanti calciatori di grande talento, nati in Argentina hanno scelto di rendersi convocabili per giocare con la nazionale italiana.
Argentina-Italia, ritorno alle origini
Mateo Retegui è diventato il 50esimo oriundo a far parte della nazionale azzurra. E contemporaneamente nella selezione U-21 è stato convocato anche Bruno Zapelli, giovane classe 2002 che in patria sta stupendo tutti con la maglia del Belgrano. Inevitabilmente queste due chiamate, soprattutto quella in nazionale maggiore (in crisi di numeri 9) del centravanti, hanno scatenato polemiche, commenti e riflessioni. La connessione Argentina-Italia è anche questa…
L’Italia da sempre ha potuto sfruttare a suo vantaggio l’emigrazione dei nostri antenati che in cerca di lavoro e futuro fuggirono all’estero, molti proprio nelle Americhe. Nel periodo compreso tra il 1870 e il 1925, sbarcarono in terra argentina quasi 2.5 milioni di italiani, concentrati principalmente nelle zone litoranee di Buenos Aires, Santa Fe, sud di Cordoba e nella provincia di Entre Ríos. Grazie alla legge che permette, ai figli di italiani, di ottenere la cittadinanza, fin dagli albori giocatori sudamericani hanno vestito la casacca azzurra.
Guaita, Monti (l’unico giocatore ad aver disputato 2 finali dei Mondiali con due Nazionali diverse), Demaria e Orsi furono i primi e nel 1934 a Roma, davanti a 50.000 spettatori piegarono 2-1 la Cecoslovacchia diventando campioni del mondo.
Humberto Maschio, Omar Sivori e Antonio Angelillo, I tre ‘Angeli dalla faccia sporca’, incantarono il mondo nella Copa America del 1957, che l’Argentina vinse a mani basse, prima di approdare tutti in Italia.
In quel periodo nel Paese sudamericano vige la regola che chi gioca all’estero non può indossare la maglia della Selecciòn. Motivo per cui tutti e 3 i giocatori sono considerati dall’Argentina come traditori in quanto renitenti alla leva, trovando ‘rifugio’ da oriundi nella Nazionale italiana.
La loro esperienza in azzurro è tuttavia breve. Sivori (9 presenze e 8 goal) e Maschio (2 presenze) disputano i Mondiali del 1962 in Cile, mentre Angelillo fa solo 2 presenze firmando 1 rete.
Dal passato fino ai giorni nostri e ai più recenti successi, fa parte di questa lista anche Mauro German Camoranesi. Un italiano di terza generazione che però rientra nella top 50 dei calciatori più presenti in maglia azzurra, vincitore del Mondiale del 2006. Da citare anche Cristian Ledesma, Ezequiel Schelotto e Pablo Daniel Osvaldo.
Una piccola parentesi, tuttavia, deve essere riservata ad alcuni talenti, con parenti di origine italiana, talmente legati alla propria patria da rinnegare a tutti i costi una possibile chiamata della nazionale azzurra. Il “caso” più famoso è relativo a Paulo Dybala che, all’epoca in cui era un diamante grezzo a Palermo, poteva essere convocato dalla nazionale di Antonio Conte ma il suo attaccamento all’Albiceleste, unito a una nazionalità (italiana) che non sentiva sua, lo portarono a declinare l’offerta.
Nel 2009 fu il turno di Mauro Zarate, seguito poi da Icardi e per ultimo nel 2022 Senesi, roccioso difensore del Bornemouth, che si è detto lusingato dell’interesse di Mancini ma poi ha scelto di vestire la maglia dei campioni del mondo.
Caso particolare quello del Mudo Franco Vazquez, in campo contro Bulgaria e Inghilterra nel 2015. Convocato da Conte nel marzo di quell’anno, non trovò più spazio nella selezione italiana. Ai tempi di Palermo scese la maglia azzurra dopo il no dell’Argentina, dichiarando in seguito di sentirsi comunque legato al paese natio.
L’ex Palermo, oggi al Parma, è uno dei punti di riferimento proprio per Zapelli, giovanissimo oriundo recentemente convocato da Nicolato. “Compagni, amici, tifosi ma anche l’allenatore e mio padre mi hanno parlato del “Mudo. Anch’io vedo che in alcune cose siamo simili e sono orgoglioso del fatto che mi paragonino a lui, che è un campione“, ha detto BZ.
Trequartista, numero dieci sulle spalle, buon fisico (alto 1.81) e grande tecnica. Inevitabile per un ragazzo con sangue italiano che gioca nel Belgrano il paragone con un altro “diez” cresciuto proprio in quel club e che ha indossato la maglia azzurra.
Anche il ct Roberto Mancini che, alla ricerca di un centravanti di spessore, ha deciso di puntare sul talento di Mateo Retegui. Il 23enne attaccante del Tigre ha ottenuto il passaporto italiano grazie al nonno materno originario di Canicattì, in Sicilia. Mateo è cresciuto in una famiglia di sportivi. Papà Carlos, detto “Chapa“, è l’ex ct della nazionale argentina di hockey sul prato con cui ha conquistato l’oro alle Olimpiadi di Rio 2016.
La sorella, Micaela, che pratica lo stesso sport, ha vinto l’argento a Tokyo 2020. Un 9 fisico (186 centimetri per 81 chili) ma mobile, attaccante prolifico eppure disposto al lavoro per la squadra. I numeri intanto continuano a dargli ragione: 6 gol in altrettante partite nel nuovo campionato, dove si mantiene in vetta alla classifica marcatori.
Non è tutto: dal 2020 a oggi, nessuno ha segnato più di lui alle cinque grandi d’Argentina con 10 reti distribuite tra Boca, River, Racing, Independiente e San Lorenzo. Mateo ha fatto 14mila km, Argentina-Italia, Italia-Argentina e ha segnato due goal nelle sue prime due presenze. Mica male la connessione Argentina-Italia.
Il compito di questi ragazzi è quello di continuare a stupire, per dare continuità a una tradizione iniziata circa un secolo fa da calciatori in cerca di riscatto e gloria, e di farlo con la maglia azzurra…
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