L’estate è forse la stagione più piacevole e rilassante dell’anno, dove ognuno di noi vive inconsapevolmente le avventure più memorabili. Durante l’arco della nostra vita ci sono estati belle ed indimenticabili ed estati brutte da dimenticare. Poi c’è l’estate agrodolce del 1992 di Kim Vilfort.
Il danese Kim Vilfort è stato un buon centrocampista che ha speso quasi totalmente la sua carriera in Superligaen: dallo Skovlunde, con cui è cresciuto calcisticamente, al Frem, dove rimane fino all’estate del 1985 quando fa le valigie direzione Lille, l’unica parentesi estera della sua carriera.
“Sono andato a giocare in Francia quando avevo 22 anni. Prima ero un calciatore part time, rappresento l’approccio vecchio stile. Il mio sguardo al calcio non è come al giorno d’oggi dove i giocatori sono concentrati sulla loro carriera e basta. Pensavo anche a cosa fare per vivere a prescindere dal calcio, per questo ho anche terminato la mia formazione come insegnante di scuola”.
Kim Vilfort
Dopo un solo anno, il ritorno a casa, al Brøndby, risultando il primo trasferimento pagato nella storia dei club danesi e diventando una leggenda del club dei ragazzi della periferia occidentale di Copenaghen, conquistando sette campionati danesi e tre Coppe di Danimarca. Nel 1991, in pieno della sua maturità, viene nominato pure calciatore danese dell’anno.
L’impresa danese
Un anno dopo ci sono gli Europei in Svezia, dove la Danimarca non si è qualificata, classificandosi seconda alle spalle della Jugoslavia. Ma il 31 maggio 1992, l’ONU esclude gli slavi per le loro funeste azioni nei Balcani e la Danimarca, dunque, rientra tra le 8 partecipanti ad Euro 92’. Il Ct Richard Møller-Nielsen, già in passato allenatore dell’under 21, prende di corsa la rubrica e chiama in fretta e furia i suoi calciatori. Alcuni erano già in vacanza, altri in procinto di andarci. Vilfort risponde presente insieme al capitano Lars Olsen, Schmeichel, Brian Laudrup, Henrik Larsen e tutti gli altri. Manca incredibilmente la stella della squadra, Michael Laudrup, fratello di Brian, fresco vincitore della Coppa dei Campioni con il Barcellona, che declina gentilmente l’offerta continuando le sue vacanze. Per lui l’estate 1992 sarà quella dei rimorsi e dei rimpianti.
La Danimarca non comincia bene la spedizione perché nelle prime due giornate ottiene solamente un misero punto contro l’Inghilterra e una sconfitta nel derby scandinavo con i padroni di casa. Kim gioca le prime due partite, anche se un po’ in sovrappensiero per la figlia Line di 8 anni, affetta da una feroce leucemia. Quando finiscono le partite, in comune accordo con Møller-Nielsen, Kim parte per raggiungere nel capezzale sua figlia.
“È stato terribile ma non ho problemi a parlarne, fa parte della mia vita. La sua malattia ha avuto un corso. Si è ammalata nove mesi prima dei campionati europei, non durante, e avevamo pensato che sarebbe guarita”.
Kim Vilfort
Gioia e dolore
Line peggiora nei giorni della partita decisiva contro la Francia e Kim non se la sente di aggregarsi ai compagni, che sono chiamati al dentro o fuori. In quella estate, i danesi sono sorretti da un inattendibile leggerezza e Larsen e il subentrato Elstrup estromettono Papin, Cantona e il Ct Platini. Line non migliora, rimane stabile ma Kim ritorna in Svezia perché vuole dare la sua mano di contributo a una nazione intera, che adesso sogna.
In semifinale, contro la detentrice Olanda, si va ai rigori. Schmeichel para un rigore a Van Basten, Vilfort mette a segno il quarto e Christofte manda in finale la “Danske Dynamite”. Non dovevano neanche partecipare. Dovevano uscire subito. Con il dream team olandese non ce la potevano fare. Ma intanto la Danimarca è lì a giocarsi il Campionato Europeo con la Germania.
“Siamo rimasti rilassati e Richard Møller-Nielsen non ha fatto un discorso lungo prima della finale. Ha solamente detto che dovevamo entrare in campo spensierati, per divertirci. Era già un enorme successo essere arrivati lì”.
Kim Vilfort
Solo che i danesi, quel 26 giugno allo stadio Ullevi di Goteborg, scendono in campo con la determinazione e la fame di vittoria di chi ha in mente di riscrivere la storia. Al 19’ Jensen porta in vantaggio la Danimarca ma il momento più emozionante della finale avviene al 78’.
Flemming Povlsen fa balzare la palla di testa in avanti dove c’è Kim Vilfort che controlla di petto, rientra sul sinistro per eludere l’intervento di Brehme ed Hellmer e poi con l’aiuto delicato del palo interno, si insacca in rete. Kim scoppia a piangere, un po’ di felicità, un po’ per disperazione. Ha appena messo il sigillo ad una delle imprese più pazzesche della storia del calcio, ma sa che dopo i festeggiamenti, c’è da combattere un’altra partita, che purtroppo sarà persa qualche settimana più in là. Un uomo, un calciatore diventato eroe per la propria nazione. Un uomo, un padre diventato addolorato per la perdita più triste di tutte, quella di un figlio. Un mix di emozioni contrastanti, un cocktail fatto di lacrime e champagne che ha accompagnato tutta l’estate agrodolce di Kim Vilfort.
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Fonte copertina: thesefootballtimes.co