In Messico, tifare è una questione di vita o di morte. Diverse sono le squadre importanti, ma una in particolare si distingue dalle altre. Perché ovunque, nel paese del Tricolor, puoi riconoscere un tifoso del Chivas Guadalajara.
La leggenda del Chivas Guadalajara cominciò oltre 70 anni fa. Pochi tifosi si aspettavano di fare la storia la sera del 30 settembre 1948, recandosi all’Estadio Felipe Martínez Sandoval, per un incontro di bassa classifica tra Guadalajara e Tampico. Soprattutto quando, tramortiti dal gioco confuso e tutt’altro che spettacolare dei padroni di casa biancorossi, quegli stessi tifosi iniziarono a gridare:
“¡Míralos, parecen chivas!”
Dello stesso avviso era Reinaldo Martín del Campo, tifoso sfegatato dei rivali cittadini dell’Atlas. Il caporedattore di El Informador, uno dei giornali più importanti della regione di Jalisco, a proposito di quella sgraziata squadra scrisse:
“Jugaron a las carreras y ganaron las chivas.“
“Scommisero sulle corse e vinsero le capre.”
El Informador, 1 ottobre 1948
Il Guadalajara effettivamente chiuse con un insperato 1-0, sebbene i giocatori avessero corso in maniera disorganizzata, proprio come delle capre. I tifosi accettarono quel nuovo soprannome infamante. Dapprima con stoicismo, mossi dalla rassegnazione; con orgoglio poi. In pochi anni, le capre avrebbero, infatti, scritto la storia del calcio messicano. Quel nomignolo dispregiativo sarebbe divenuto nel paese del Tricolor sinonimo di successo, un segno sotto il quale quasi metà dei tifosi del paese potesse identificarsi. E il Chivas Guadalajara sarebbe divenuto presto una delle squadre più vincenti della storia messicana.
Le origini del mito
Tutto cominciò nel 1906: un giovane negoziante belga, Edgar Everaert, insieme ad un collega messicano di origini francesi, fonda il Club Unión de Futbol. È un omaggio all’unione, in un’unica squadra, di calciatori di diverse nazionalità, tra i quali inglesi, spagnoli, francesi e belgi. L’Unión, però, ebbe vita breve. Tornato da una visita a Bruges, fiorente città fiamminga, Everaert decise di sancire definitivamente il legame con la comunità che lo aveva accolto nel Nuovo Continente. Il Club Unión venne sciolto e, al suo posto, venne fondato il Club Deportivo de Guadalajara.
Everaert, inoltre, decise che nella sua squadra non avrebbero più militato degli stranieri, ma solamente calciatori locali. Si tratta di un unicum nella storia del calcio messicano e nordamericano in generale: nessun’altra squadra ha mai adottato una simile regola nell’area CONCACAF. Tutti i calciatori stranieri furono espulsi, compresi i francesi che avevano dato vita al club appena due anni prima. Il Guadalajara si accingeva a diventare el equipo del pueblo mexicano.
I colori della maglia rimasero gli stessi: rosso, bianco e blu, quasi come ultima traccia nostalgica del recente passato. Un tributo alla Francia che tanto aveva contribuito alla fondazione del club? Un richiamo ai colori della città di Bruges, il rosso e il bianco?
La questione è ancora oggi dibattuta.
Meno dubbi lasciavano le prestazioni del Chivas Guadalajara da quando, nel 1943, partecipò al primo campionato professionistico di calcio organizzato in Messico. Mentre l’altra grande squadra cittadina, l’Atlas, proponeva un gioco spumeggiante e vivace, grazie alla vitalità dei giocatori argentini e costaricani, i biancorossi erano relegati nei bassifondi della classifica e condannati ad un gioco macchinoso e poco spettacolare. E le chivas dovettero anche assistere all’affronto di vedere i rivali rossoneri vincere il loro primo campionato nel 1951. Da quel momento, però, le prestazioni del Guadalajara migliorarono sensibilmente, tanto da cominciare a competere presto per le posizioni di vertice.
El Campeonísimo
Gli anni ’50, conditi da tanti secondi posti, furono solamente il preludio dei grandi successi del Chivas nel decennio successivo. Sotto la guida del leggendario Javier de la Torre, tra il 1957 e il 1965 arrivarono 7 titoli nazionali, 6 Supercoppe Messicane, una Copa Mexicana e soprattutto una Coppa dei Campioni CONCACAF. Questa squadra passò alla storia come El Campeonísimo. In una decina d’anni, il club rivoluzionò completamente il calcio messicano grazie al talento dei giocatori della cantera e all’acume tattico dell’allenatore. Grandi nomi non solo del club, ma dell’intera storia del calcio messicano erano presenti in quella formazione leggendaria.
Su tutti, due ne costituivano il fulcro per talento e attaccamento alla maglia.
Il primo è Salvador “Chava” Reyes, secondo miglior marcatore della storia del club nonché stella della nazionale per ben 3 Mondiali consecutivi. Nel 2008, disputando per 50 secondi un match celebrativo di Clausura, all’età di 71 anni Reyes divenne il calciatore più anziano ad aver mai disputato una partita nel campionato messicano.
L’altro, invece, è il leader della difesa José Villegas, noto come el Jamaicón. Si racconta che una sera, mentre la nazionale era in Portogallo prima dell’inizio dei Mondiali del 1958, fosse fuggito da una cena organizzata per i calciatori. Lo ritrovarono fuori, a pensare con nostalgia al suo paese. Da questo episodio fu coniata la Síndrome del Jamaicón, la “malattia” di quei giocatori che, seppur affermati all’estero, desiderano tornare nel campionato di casa.
La grande crisi…
Il periodo del Campeonísimo terminò negli anni ’70. Il club attraversò un declino a livello tecnico, con la partenza del tecnico de la Torre nel 1973 e il ritiro della maggior parte dei suoi calciatori di spicco. Ancor più pesante risultò essere la crisi sul piano economico. Senza più grandi investimenti, il club sprofondò nelle posizioni di classifica meno nobili. Perennemente invischiato nella lotta per non retrocedere, questa squadra passerà alla storia come quella delle Chivas Flacas. Solamente con l’arrivo in panchina di Alberto Guerra nel 1982 la società otterrà risultati rilevanti, senza però aggiungere ulteriori trofei nella già ricca bacheca.
… e la rinascita
Dopo un periodo di transizione durante gli anni ’90, il Chivas risorgerà nel 2002, con l’acquisizione del club da parte del nuovo presidente Jorge Vergara. Arrivano nuovi sponsor, un nuovo stadio e soprattutto numerose giovani stelle. Le più luminose sono quelle di Orbelin Pineda e, soprattutto, di el Chicharito Hernandez, nipote di Tomás Balcázar, leggenda del campeonísimo. Non può essere tralasciato anche il talento di Omar Bravo, il marcatore più prolifico della storia del club con 132 realizzazioni.
Le chivas tornano a vincere in patria. Sotto la guida di Matías Almeyda, in bacheca giungono due nuovi titoli nazionali nel 2006 e nel 2017, due Copa MX e la rinnovata Supercopa Mexicana. La squadra, inoltre, brilla anche in campo internazionale. Nel 2018 arriva la vittoria nella Champions League CONCACAF e per ben due volte vengono raggiunte le semifinali di Copa Libertadores. Nel 2010, addirittura, la squadra messicana raggiunge anche la finale. L’Internacional de Porto Alegre, però, vince 3-2 e condanna i biancorossi al secondo posto nella manifestazione.
L’equipo del pueblo
Questa dunque è la storia del Chivas Guadalajara. Con, attualmente, 12 titoli nazionali è la seconda squadra più vincente della nazione, preceduta solo dagli acerrimi rivali del Club América di Città del Messico.
Società di illustre tradizione, il Chivas Guadalajara è il simbolo del mexicanismo più puro, della passione calcistica che è un tratto distintivo così importante della nazione messicana.
Il Chivas infatti non è una squadra come tutte le altre. Nessun altro club al mondo può essere considerato un’icona nazionale di tale portata, eccezion fatta per l’Athletic Bilbao in Spagna. Non si può delimitare cosa rappresenti questa squadra non solo per i suoi tifosi, ma per tutti i messicani. L’essenza di questa società trascende i confini nazionali, è una bandiera del Messico e della sua identità popolare e culturale in tutto il mondo.
Perciò non è un caso che il Chivas Guadalajara sia il club più amato in patria.
E non è certo un caso che, come recita l’inno della squadra “Ovunque ti trovi in Messico, troverai sempre un compagno Chiva”.
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Foto di copertina tratta da: us.as.com