Scavare nei meandri della memoria per riscoprire uno dei più incredibili miracoli calcistici degli ultimi decenni: la cavalcata dell’Angola verso i Mondiali del 2006.
Questi versi sono tratti dai “Cadernos do fabro”, opera della poetessa angolana Ana Paola Tavares, una delle maggiori esponenti letterarie del suo paese, l’Angola, maestra nel raccontare al mondo l’anima della nazione africana sotto forma di poesia.
L’Angola si affaccia nostalgicamente sull’Oceano Atlantico, mentre volge le spalle allo Zambia e alla Namibia; un braccio di Repubblica Democratica del Congo l’ha privato di una sua gemma, la piccola exclave di Cabinda, rimasta incastonata tra quei due paesi in cui si distende il bacino del fiume Congo. Da quel punto nell’orizzonte delle acque del “solo mare” di Ana Paula Tavares, dove sfuma lo sguardo dei pastori che per primi occuparono quelle terre, nel XV secolo arrivarono le navi più grandi che quelle coste avessero mai visto, recanti grandi croci e cinque scudi d’azzurro: erano i portoghesi, uomini votati al mare e alla scoperta, che in Angola diffusero e imposero le loro radici, le loro abitudini, la loro lingua: di origine portoghese è la capitale Luanda e il portoghese è ancora oggi la lingua ufficiale del paese.
Dopo secoli di occupazione, le lotte anticoloniali e indipendentiste infiammarono il paese, che trovò l’indipendenza nel 1975 e la fine delle guerre intestine solo nel 2002. Anche il livello calcistico angolano, durante quegli anni di incertezza e lotte, ha inevitabilmente risentito dell’instabilità del paese. Dovranno passare cinque anni dall’ottenimento dell’indipendenza per presentare una selezione nazionale alle qualificazioni per la Coppa d’Africa, e l’Angola riuscirà a qualificarsi per la prima volta alla fase finale della rassegna continentale soltanto per l’edizione del 1996, conclusa con un punto e l’eliminazione ai gironi. Lo stesso destino varrà per l’edizione del 1998, mentre nel 2000 e nel 2002 non arriverà nemmeno la qualificazione. In una nazione ancora così giovane e fragile sembra non esserci tempo per pensare al calcio, o addirittura per immaginare di qualificarsi ai Mondiali. Eppure, c’è un uomo che non la pensa così.
Da dove io vengo / possiamo dimenticare i giorni / e andare per i prati a bere voci.
Luis de Oliveira Gonçalves si siede sulla panchina delle Palancas Negras nei primi giorni del novembre 2003, in seguito alla sconfitta patita per 3-1 contro il Ciad nel preliminare per accedere ai gironi di qualificazione. In patria è chiamato “Il Professore” per le sue capacità tattiche, rodate negli anni passati alla guida delle selezioni giovanili angolane, e i vertici della Federazione gli consegnano le chiavi dello spogliatoio dei grandi, sperando che possa essere l’uomo giusto per i progetti a lungo termine della Nazionale. Gli bastano pochi giorni per cambiare le cose: 2-0 al ritorno, segnano Akwà e Mauro. Improvvisamente, i piani dell’Angola subiscono una deviazione di traiettoria. Gonçalves non è soltanto chiamato a mettere le basi per la Nazionale del futuro, ma ha di fronte a sé una sfida immediata: ben figurare nei gironi di qualificazione per il Mondiale di Germania.
L’urna non è benevola: Algeria, Gabon, Zimbabwe e, soprattutto, la Nigeria di Martins, Yakubu e Okocha. Tante squadre si lascerebbero scoraggiare e si rassegnerebbero ad essere relegate nell’oscura dimensione delle perdenti. L’Angola, invece, la pensa diversamente. L’esordio è un incoraggiante 0-0 in Algeria: in patria qualcuno festeggia, il risultato è già di per sé un’impresa. Ma a quella Nazionale non basta. Quindici giorni più tardi, al minuto 84 l’Estadio da Cidadela di Luanda esplode. Segna ancora Akwà, l’eroe della sfida contro il Ciad, con un missile sotto la traversa. A cadere è il gigante che fa più rumore: la Nigeria ha perso con l’Angola.
Da lì in poi è una marcia inarrestabile, una capoeira vertiginosa che fa cadere il Gabon, lo Zimbabwe, l’Algeria. In Nigeria è pareggio 1-1, con Figueireido che risponde al gol di Jay-Jay Okocha. Manca così poco che nessuno crede che possa essere vero. Manca una sola partita, Angola e Nigeria sono appaiate a 18 punti, ma quella vecchia staffilata di Akwà permette all’Angola di essere davanti alle Super Eagles negli scontri diretti. Con una vittoria si va ai Mondiali. La partita del destino si gioca a Kigali, in Ruanda. La Nigeria, invece, è di scena contro lo Zimbabwe. Come da copione, vince la sua partita con un netto 5-1.
In Ruanda, invece, i minuti passano e il risultato non si sblocca. Troppa tensione, troppa paura. L’Angola attacca, eppure non sfonda il muro avversario. Sembra tutto finire così, ad un passo dal sogno. Ma quando il destino sceglie i propri eroi, è difficile che li rinneghi. Così, al 79’ parte un cross dalla destra, la difesa ruandese si scioglie e un giocatore con la casacca rossa, gialla e nera colpisce di testa, solo in mezzo all’area di rigore: chi può essere quell’uomo, se non Akwà?
E’ lo zenit della storia del calcio angolano. La Nazionale è qualificata direttamente al Mondiale, la Nigeria deve passare dagli spareggi. Luanda è in delirio. Akwà è un eroe catapultato in campo da un dio misericordioso; Figuereido, Mendonça, Mantorras gli scudieri che hanno seguito i suoi passi, vincendo. Gonçalves è il nuovo Messia della nazione e ad aggiungere ulteriore lustro alla sua impresa va menzionato un particolare non da poco: sarà l’unico allenatore africano di Germania 2006, in quanto tutte le altre nazionali della CAF qualificate saranno guidate da CT europei. Per l’Angola sarà l’esordio assoluto in un Mondiale di Calcio.
Da dove vengo io / la paura è già stata di casa / un gesto d’ombra la parola / adesso si canta piano / si possono bere dal muschio / le lacrime amare di sete
Il sorteggio non interessa a nessuno, sarà comunque una festa per un popolo non abituato a godersi i riflettori, una vetrina unica per i calciatori, fin lì poco più che carneadi. Ma sarà proprio il sorteggio a regalare un’altra pagina a questa storia che sembra una favola, o un romanzo di José Eduardo Agualusa. Dall’urna vengono pescate tre sfere, insieme a quella dell’Angola. Iran, Messico…e poi il destino decide di giocare ancora una volta coi cuori degli angolani. Sul terzo bigliettino c’è scritto proprio quel nome: Portogallo.
È tutto vero. Colonizzati contro colonizzatori, invasori contro invasi. Il calcio sarà lo strumento per ritrovarsi sul campo, ma soprattutto un modo per gli angolani di dire ai più potenti portoghesi che ci sono anche loro, che esistono, che se vogliono vincere il Mondiale dovranno passare anche da loro. Dovranno sconfiggere il loro entusiasmo, la loro voglia, la loro sete di quell’avventura che sembra non esaurirsi mai.
Non è la prima volta che le strade di Portogallo e Angola si incrociano su un campo da calcio. I due precedenti, entrambi in partite amichevoli ed entrambi giocati in terra lusitana, raccontano una storia che gli angolani non hanno certo voglia di ricordare col sorriso: un 6-0 nel 1989, un 5-1 nel 2001. In quest’ultima partita, disputata pochi mesi prima dell’inizio dell’era Gonçalves, furono presenti alcuni dei giocatori che voleranno in Germania. Ma questo Portogallo-Angola dovrà essere una storia tutta diversa, che dovrà parlare di un intero popolo che scende in campo insieme ai propri calciatori, una storia di autodeterminazione e di affrancamento, il rifiuto di essere semplicemente una costola di una nazione più grande e potente o il suo rassegnato sparring partner.
La compilazione della lista dei convocati crea qualche grattacapo a Gonçalves. È costretto a rinunciare a due titolari come l’esterno sinistro Gilberto, fresco vincitore della Champions League africana con l’Al Ahly (come nell’ultima edizione del 2021), fermato da un infortunio al tendine d’Achille, e il centravanti Maurito, anch’egli infortunato. Un’ulteriore tegola arriva dal board della FIFA, che nega al Professore la possibilità di convocare Pedro Emanuel e Chainho. I due giocatori non sono selezionabili poiché avevano indossato negli anni precedenti la maglia delle selezioni giovanili del Portogallo: se al tempo fossero state in vigore le regole di oggi, i due avrebbero avuto la possibilità di volare in Germania.
L’aspetto più preoccupante in vista della kermesse mondiale è la pressoché totale mancanza di esperienza internazionale dei 23 convocati. Solo Mantorras gode di una certa reputazione e gioca in Europa, peraltro proprio in Portogallo, nel Benfica. Tuttavia, l’attaccante è in pessima salute: si è infortunato al ginocchio tante volte e l’unico contributo che può fornire non è in campo, ma ad appuntare l’Angola nell’atlante del calcio mondiale.
Il percorso di avvicinamento al Mondiale prevede tre amichevoli contro avversari di spessore: l’Angola infatti gioca, e perde, contro Corea del Sud e Turchia, semifinaliste della Coppa del Mondo di quattro anni prima, e contro l’Argentina, in una gara, persa 2-0, che va in scena, curiosamente, allo Stadio Arechi di Salerno. Le sconfitte nei test pre-Mondiale non intaccano il morale e le motivazioni della squadra di Gonçalves, che si presenta in Germania pronta per il debutto assoluto al Mondiale. Il calendario le mette di fronte proprio il Portogallo. È l’11 giugno 2006.
Leviamo le nostre voci liberate / per la gloria dei popoli dell’Africa / Marciamo, combattenti d’Angola
L’inno angolano suona prima di quello portoghese. Adesso ci siamo noi, per adesso potete aspettare. Le parole scritte nel 1975 da Manuel Alves Monteiro sembrano essere state ideate per quel preciso istante della storia del calcio angolano e della sua gente. È un momento magico, una catarsi: i tifosi cantano sugli spalti, piangono e ridono contemporaneamente. Cosa succede in campo forse conta meno di quel momento, di quella liberazione che passa dal calcio.
Pauleta (all’epoca ancora al PSG) segna subito, il Portogallo è in vantaggio e sembra destinato a dilagare. Invece, il gioco lusitano si incaglia, le trame di gioco non sono più fluide. L’Angola si difende egregiamente, ma non ha le armi per fare male là davanti. Finisce 1-0, ma gli uomini di Gonçalves tornano in albergo col sorriso. Hanno resistito e affrontato un avversario più forte con onore. Adesso vogliono giocarsela con gli altri così come hanno fatto con i portoghesi.
Dopo qualche giorno arriva il Messico. L’Angola si difende con le unghie e con i denti, soffre e rischia, ma riesce a portare a casa uno 0-0 storico. È il primo punto della sua storia in un Mondiale: un grande traguardo raggiunto, un’altra data da ricordare di un percorso incredibile, iniziato da quella famosa partita contro il Ciad nel 2003. Si torna negli spogliatoi e ci si accorge che l’Angola può ancora passare il turno. Il Portogallo ha superato l’Iran e avanza alla fase successiva. Il Messico è a 4 punti, gli africani a 1. Serve una vittoria contro l’Iran già eliminato, sperare che il Portogallo sconfigga il Messico, quindi controllare la differenza reti. Possiamo ancora sognare, si dicono i tifosi. Possiamo ancora lottare, si dicono i calciatori.
Essere abituati ad avere delle leggi del tempo e dello spazio che funzionano costantemente aiuta a riconoscere con maggior lucidità quando le gesta umane le infrangono. Sono piccole schegge di secondo, destinate a divenire atomi di memoria. Si percepisce un senso di sospensione, di vigile attesa dell’evento.
Il Portogallo sta vincendo contro il Messico, l’Angola fa fatica ma tiene il campo. All’improvviso arriva l’istante in cui tutto sembra possibile. Un lancio lungo dalla difesa premia la corsa di Zé Kalanga sulla fascia destra. Gli spazi sono enormi, praterie da esplorare prima col cuore che col pallone. Il ragazzo corre e crossa. In mezzo all’area, da solo, è appostato Flàvio, che vede arrivare quel bacio a forma di sfera. Ci mette la testa, la palla sorpassa Mirzapour e si insacca sotto la traversa. È il primo storico gol di Angola in un Mondiale. Flàvio si inginocchia, si batte il petto, guarda il cielo di Lipsia e gli consegna una preghiera. Poi si alza e corre, travolto dalla gioia dei compagni, una fiammella di speranza negli occhi.
Pochi minuti dopo, il colpo di testa di Bakhtiarizadeh riporta Angola sulla terra, rendendo inutile la vittoria del Portogallo sul Messico. Finisce 1-1. Le leggi del tempo e dello spazio tornano a imporre il loro gravoso dominio su chi non è riuscito a superarle. L’Angola torna a casa, a testa alta, altissima.
Un ingiusto epilogo
Gli eroi di quella cavalcata indimenticabile non sono riusciti del tutto a sfruttare quell’aura di magia che li ha accompagnati fino in Germania. Akwà, classe 1977, non avrà l’occasione di mettersi alla prova in Europa, dove era approdato a inizio carriera, militando in Benfica, Alverca e Academica. Giocherà ancora due stagioni in patria, nel Petro Atlético di Luanda, prima di ritirarsi. Tuttora è il miglior marcatore di sempre della nazionale angolana.
Flàvio, l’autore dello storico gol all’Iran, ha continuato a segnare nei campionati di Arabia Saudita e Qatar. Nel 2011 l’occasione di una vita in Belgio, con il Lierse, andò male: segnò solo 1 rete in 5 partite.
Paulo Figuereido, centrocampista, venne acquistato subito dopo il Mondiale dagli svedesi dell’Östers. Non incantò, e chiuse la sua carriera in patria dopo essere fugacemente passato dal Ceahlaul, in Romania. Nonostante questo finale di carriera non esaltante, fu convocato per la Coppa d’Africa del 2008, dove fu promosso a capitano della squadra.
L’allenatore e condottiero delle Palancas Negras, Gonçalves, venne confermato sulla panchina a furor di popolo per guidare la Nazionale nella Coppa D’Africa del 2008 in Ghana, dove il cammino dell’Angola si interruppe ai quarti di finale contro i futuri campioni dell’Egitto. Lascerà l’incarico nel 2009 e non avrà mai l’occasione di allenare una panchina europea.
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Un quinquennio magico, iniziato con l’esordio fulminante di Gonçalves sulla panchina e proseguito a colpi di destino, a buttar giù muri che sembravano inespugnabili. Unico non per modo di dire, visto che negli anni successivi l’Angola non sarebbe riuscito più a ripetere quell’insensata e meravigliosa magia. Il movimento calcistico angolano non sfrutterà al massimo quel periodo dorato, cominciato con quel 2-0 contro il Ciad e chiuso con l’eliminazione dalla Coppa d’Africa del 2008, anche a causa di un mancato ricambio generazionale e forse, soprattutto, alla mancata presenza di Gonçalves sulla panchina in seguito.
A più di 15 anni di distanza da quel Mondiale indimenticabile, la sensazione è che aver giocato quelle tre partite negli avveniristici stadi tedeschi non sia stata la parte più importante del viaggio di quella Nazionale. Piuttosto si ha la convinzione che siano le partite di qualificazione a rappresentare l’immagine perfetta di quella squadra e di quella nazione. Una squadra unita, ammantata di furore agonistico e di voglia di esistere, determinata a dimostrare al mondo che si può diventare dei giganti anche quando gli altri ci vedono piccoli, smaniosa di spezzare le catene dell’anonimato che la tenevano legata fino a quel momento. Per sedersi finalmente, col proprio nome e la propria storia, al tavolo dei grandi.
Da dove vengo nascono i fiumi / nei nervi della terra / corrono sicuri verso il mare / o si perdono in altri luoghi del tempo / senza che nessuno / li trattenga.
Immagine di copertina realizzata da PSM SPORT (base tratta da These Football Times)
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