Angel Di Maria è stato uno dei giocatori più completi dell’ultima decade. Nel 2013-2014 arrivano una Champions da protagonista e un Mondiale finito troppo presto che, senza il suo addio, avrebbe cambiato il corso degli eventi.
In un mondo parallelo, dove gli esseri umani sono attenti ai dettagli e il destino riserva qualcosa di diverso dalla nostra realtà, Angel Di Maria da Rosario avrebbe vinto, nel 2014, il Mondiale e, forse, avrebbe avuto più considerazione per salire sul podio del Pallone d’Oro. Il padrone dei particolari applicati al calcio. Ma in pochi se ne accorgono, o meglio, non sono molti quelli che attribuiscano al centrocampista argentino i suoi reali meriti. Sembra che qualcuno, comunque vadano le cose, abbia sempre più importanza di lui.
Nel maggio del 2014 il Real Madrid torna sul trono del Vecchio continente dopo dodici anni e trionfa nella maniera più inaspettata possibile. Sergio Ramos assume sembianze tarantiniane: avete presente la scena in cui quel sadico di Mr.Blonde, nel film Le Iene, taglia l’orecchio ad un poliziotto? Bene, possiamo credere che il centrale del Real sia stato truce allo stesso modo nei confronti di ogni tifoso dell’Atletico, con quel colpo di testa oltre l’ultima spiaggia.
Ramos, Marcelo, Bale e Cristiano Ronaldo sono i quattro serial killer in camiseta blanca che hanno mandato all’inferno El Cholo Simeone.
Ma l’uomo nell’ombra è uno, Angel Di Maria, a dir poco fondamentale: tiene in vita il Real, insieme a Modric e lo stesso Ramos, nei momenti di difficoltà, in quegli istanti in cui l’Atletico pregusta la rivincita storica contro i rivali cittadini. Il rosarino è enorme, una mezzala forte tecnicamente e saggia nel tocco. Carlo Ancelotti ha visto giusto per l’ennesima volta. Uno dei punti fondamentali della cavalcata continentale del Real Madrid sta nel ruolo cucito sulle misure tecniche del Fideo: da esterno offensivo particolarmente interessante a centrocampista completo.
Il gol del sorpasso, decisivo per tagliare le gambe agli avversari, viene sì realizzato da Bale con un colpo di testa in corsa, ma prima Angel aveva letteralmente seminato il panico tra i Colchoneros, propiziando il tocco del gallese con una serie di dribbling da mandare a memoria a chiunque ami quest’arte.
Migliore in campo all’unanimità.
Giugno, Brasile. Il Mondiale dei mondiali.
Leo Messi contro il suo destino, rinverdire i fasti del Diego Armando che sconvolse il calcio nell’estate del 1986, questo è il mantra. Essere incoronato re nella terra degli eterni rivali, sulle zolle che hanno calcato il genio di Pelè. Sfida nella sfida, mettere in saccoccia il passato con tanto di mostri sacri.
Apocalypse now.
Si, ma gli altri? L’Argentina è una squadra tosta e tecnica, potendo contare su giocatori del calibro di Javier Mascherano, Pablo Zabaleta, Gonzalo Higuain, Rodrigo Palacio, Fernando Gago, Ezequiel Lavezzi. Oltre al fideo Di Maria. In panchina siede Alejandro Sabella.
La Selecciòn non gioca un calcio gradevole, ma allo stesso tempo si rivela una formazione coriacea e spietata.
Messi disputa un ottima rassegna iridata, Di Maria si rivela essere la sua spalla tattica ideale, i due dialogano a meraviglia, con la Nigeria sembrano la trasposizione calcistica del Buono e del Brutto di memoria leoniana. Contro la Svizzera si superano con un contropiede da manuale, partito dal recupero a centrocampo di Palacio su Lichtsteiner: el Diez è esteticamente perfetto, dribbling, palla a Di Maria, sinistro in buca, dolce, spietato. Con il Belgio, invece, è un passaggio intercettato in malo modo del rosarino ad innescare il destro del Pipita Higuain, all’ottavo minuto di gioco.
Il suo campionato del mondo, entrato ormai nella fase finale e fondamentale, finisce al 33′ della stessa frazione di gioco. Il miglior centrocampista della competizione, insieme a Toni Kroos e Javier Mascherano, è costretto ad uscire di scena per infortunio.
A volte, il destino riesce nell’impresa di cadere nella banalità.
Non tornerà più in campo in quell’estate brasiliana. L’Argentina perde una pedina fondamentale e di conseguenza il gioco ne risente: niente più scambi vertiginosi con Messi, nessun dribbling mortifero. Il 7 deve guardare i compagni da un’altra angolazione.
Angel Di Maria è stato l’uomo fondamentale che stava seriamente minacciando, con la sua grandezza da savio del dribbling, la storia del gioco, la spalla su cui il Dio contemporaneo argentino poteva appoggiare la fronte stanca nei momenti di difficoltà. Ma quella magnifica storia, nel momento più importante, gli venne sottratta.
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Fonte immagine di copertina: Instagram Angel Di Maria