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Cile-URSS, la pelota sí se mancha

Se c’è un Mondiale che più di tutti gli altri si è legato alle vicende politiche del ‘900, quello è molto probabilmente Germania 1974. Pensiamo all’ormai ben nota vicenda della punizione calciata da Mwepu contro il Brasile nella speranza di provare a salvare la pelle a sé stesso, alla sua famiglia e ai suoi compagni di squadra dello Zaire. O ancora al derby delle Germanie, chiusosi con la clamorosa vittoria della DDR grazie al gol di Sparwasser. C’è stata anche la smania di vendetta di Willem van Hanegem, che con i suoi Paesi Bassi si trovò ad affrontare in finale proprio quei tedeschi che, durante la guerra, gli uccisero il padre, due fratelli e la sorella.

Oggi però vi parleremo di un evento che non si verificò nell’estate del Mondiale bensì nell’autunno 1973, nel corso delle battute finali delle qualificazioni. Lo spareggio intercontinentale – anzi, il non spareggio – tra Unione Sovietica e Cile è passato alla storia come uno degli avvenimenti più assurdi e allo stesso tempo tristi della storia del calcio.

Il format del Mondiale 1974 prevedeva la presenza di sedici squadre. La Germania Ovest come paese ospitante, il Brasile campione in carica, otto europee, due sudamericane, una nordamericana, un’africana e un’asiatica/oceanica, più un’altra da decidere in uno spareggio tra una nazionale europea e una sudamericana.

Questo si sarebbe disputato in una gara di andata e ritorno tra le vincenti del gruppo 9 della zona europea e del gruppo 3 di quella sudamericana. L’Unione Sovietica vinse il primo, arrivando davanti a Francia e Irlanda tra l’ottobre 1972 e l’aprile 1973. Il Cile vinse invece il secondo e si ritrovò ad affrontare il solo Perù in seguito al ritiro del Venezuela.

I cileni erano dati per sfavoriti per via delle recenti ottime prestazioni del Perù, che arrivò ai quarti di finale del Mondiale 1970 (e che poi avrebbe vinto la Copa America nel 1975). Ma dopo la sconfitta per 2-0 nella gara di andata si imposero con lo stesso risultato nella gara di ritorno, per poi vincere 2-1 lo spareggio giocato in campo neutro a Montevideo nell’agosto 1973. In questo modo conquistarono il pass per lo spareggio intercontinentale. È Cile-URSS.

Quella sovietica era una nazionale senza dubbio di valore, che aveva preso parte agli ultimi cinque Mondiali e che l’anno precedente era arrivata al secondo posto agli Europei in Belgio. La stella era l’ucraino Oleg Blochin, che nel 1975 avrebbe vinto il Pallone d’Oro in seguito alla vittoria della Coppa delle Coppe con la maglia della Dinamo Kiev. L’allenatore, invece, era il moscovita Yevgeny Goryansnky, reduce da un’esperienza allo Zenit Leningrado (non ancora San Pietroburgo).

Discorso diverso per il Cile, che era arrivato terzo al Mondiale 1962 giocato in casa e che si era qualificato al Mondiale 1966, mancando poi l’edizione successiva. L’allenatore era Luis Alamos e il giocatore più celebre era Carlos Caszely del Levante, unico a giocare in Europa della Roja. I favoriti d’obbligo, insomma, erano ovviamente i sovietici.

I due spareggi Cile-URSS sono previsti per il 26 settembre e il 21 novembre 1973. Intanto però sorge un problema. L’11 settembre 1973 l’Esercito del Cile, con il sostegno degli Stati Uniti, rovescia il governo democraticamente eletto del socialista Salvador Allende per mettere al suo posto il generale Augusto Pinochet. Si dice che Allende si sia suicidato con un AK-47 che Fidel Castro gli aveva donato durante l’assalto dei militari al Palacio de La Moneda.

In quei giorni la nazionale cilena si dovrebbe radunare al campo di allenamento per poi lasciare il Cile in vista dello spareggio. Ma il commissario tecnico, tenendo conto della grave situazione, dice ai giocatori di tornare a casa.

Io dovevo rientrare in albergo e nel corso del tragitto alcuni militari mi fermarono una decina di volte. Mi salvai dall’arresto solo perché portavo appresso la borsa con la scritta ‘Nazionale cilena di calcio’…

Il terzino Eduardo Herrera su quanto accaduto quel giorno

La partenza della nazionale è a rischio perché intanto il governo ha proibito ai cittadini cileni di lasciare il paese. Il medico della nazionale Jacob Helo e il generale dell’aeronautica Gustavo Leigh convincono però la giunta militare ad acconsentire al viaggio verso Mosca. La speranza era anche quella di dare un’immagine internazionale di normalità al Cile. Le autorità ordinano però ai giocatori cileni, in gran parte schierati con Allende, di non parlare di politica in alcun modo. Anche perché nel frattempo l’Unione Sovietica aveva rotto le relazioni diplomatiche con il Cile.

Con la nazionale volano anche alcuni militari, per paura che qualche calciatore chiedesse asilo politico ai sovietici, e un solo giornalista, Hugo Gasc. In seguito a una tappa intermedia in Messico per disputare un’amichevole contro la nazionale locale (vinta 2-1 dal Cile), la delegazione sudamericana parte alla volta dell’URSS.

L’accoglienza delle autorità sovietiche è molto fredda. Si vivono momenti di grande tensione quando le autorità fermano Figueroa e Caszely per presunte irregolarità nel passaporto. Risolti i problemi, la nazionale cilena si dirige all’Hotel Ukraina. Qui ricevono la visita del politico cileno Volodia Teitelboim, fuggito in Unione Sovietica in seguito al colpo di stato.

Il 26 settembre al Lužniki di Mosca si gioca davanti a 60.000 spettatori. La partita d’andata però non viene trasmessa da nessuna parte a causa del divieto delle autorità sovietiche di far entrare telecamere allo stadio. In un clima surreale, il Cile riesce a strappare un preziosissimo 0-0. Non possiamo averne prove certe, ma chi c’era parla di un dominio prolungato da parte dei sovietici e di una strenua difesa dei cileni, schierati con un 6-3-1.

Figueroa (futuro tre volte vincitore del premio di miglior giocatore sudamericano) e Machuca marcavano Oleg Blochin. Trapelano delle informazioni anche su un arbitraggio tutt’altro che casalingo del brasiliano Armando Marques, descritto come un accanito anticomunista.

Il risultato viene vissuto come un’umiliazione da parte dei sovietici. Almeno in casa loro, si aspettavano di vincere senza troppi problemi. Tornati a Santiago, i giocatori cileni vennero accolti e ricevuti dallo stesso Pinochet.

Nei quasi due mesi che separano la partita di andata da quella di ritorno, tuttavia, la situazione precipita. L’Estadio Nacional di Santiago, dove era prevista la sfida decisiva contro l’URSS, diventa il simbolo della repressione degli oppositori. Ogni giorno centinaia e centinaia di persone ci entrano per essere torturate. Quando ci escono, se ci escano, firmano un documento nel quale dichiarano di non aver subito violenza.

* All’interno dello stadio è stata confermata la morte di quarantuno dissidenti.

Intuendo il clima, l’ANFP (la federazione cilena) propone di spostare l’incontro altrove. Si parla dell’Estadio Sausalito di Vina del Mar, ma è lo stesso governo di Pinochet che conferma l’Estadio Nacional come luogo della partita. L’Unione Sovietica comunica alla FIFA di non voler giocare in Cile. La federazione chiede di giocare la partita in campo neutro in Germania Ovest, dove si erano già svolti gli spareggi tra Spagna e Jugoslavia e tra Svezia e Austria. Cile-URSS è a rischio.

La massima organizzazione calcistica mondiale era allora guidata da Stanley Rous. L’inglese si schierò contro la CAF e a favore del Sudafrica sulla questione apartheid. Visto il malcontento generato nel calcio non europeo, nel 1974 i delegati non lo rielessero e gli lasciarono il posto al brasiliano Joao Havelange. Rous invia a Santiago del Cile una delegazione formata dal segretario generale Helmut Käser, svizzero, e dal vicepresidente della commissione arbitrale Abilo de Almeida, brasiliano. Il loro incarico era quello di verificare se ci fossero effettivamente degli oppositori rinchiusi nell’Estadio Nacional.

Fu una commedia. Sugli spalti c’erano 7000 dissidenti, ma i delegati del regime spiegarono come fossero solo persone senza documenti. Altri ancora, invece, furono spostati in altri luoghi in vista della verifica. “Visitarono solo il campo, guardandoci da lontano” dirà Gregorio Mena Barrales, governatore socialista di Puente Alto rinchiuso nello stadio, sull’ispezione dei dirigenti.

“Quello che riferiremo alle nostre autorità sarà il riflesso di quello che abbiamo visto: totale tranquillità.”

Le parole di Käser in una conferenza stampa con il Ministro della Difesa cileno Patricio Carvajal.

Gli farà eco D’Almeida: “Non preoccupatevi per la campagna mediatica contro il Cile. Al Brasile è successa la stessa cosa, passerà in fretta”. L’Estadio Nacional viene dunque confermato come sede dell’incontro.

Cile-URSS passerà alla storia.

Gli sportivi sovietici non possono giocare nello stadio macchiato del sangue dei patrioti” è la risposta, tramite telegramma, che il governo sovietico invia alla FIFA. La notizia coglie alla sprovvista anche gli stessi giocatori sovietici, in procinto di partire per il Cile. La decisione viene appoggiata dai paesi del blocco socialista, come per esempio la Germania Est, che chiede ironicamente di riprogrammare la partita a Dachau.

Dal canto suo, la FIFA si appella al regolamento: “Se una squadra non si presenta a un incontro, salvo in caso di forze maggiori e con l’assenso del comitato organizzatore, andrà considerata come sconfitta”.

Il Cile dunque batte 2-0 a tavolino l’Unione Sovietica e si qualifica al Mondiale. Pare che però non sia sufficiente, perché la FIFA vuole che la partita si giochi lo stesso. Il 26 novembre all’Estadio Nacional sono presenti la nazionale cilena e l’arbitro austriaco Erich Linemayr. Nello stadio sono presenti anche 18.000 spettatori, di cui molti accorsi più che altro per provare a cercare i loro parenti o amici scomparsi.

L’arbitro fischia l’inizio e il Cile si passa la palla per qualche secondo finché non arriva a Carlos Caszley, figlio di un ferroviere e sostenitore dell’Unidad Popular di Allende. Questi vorrebbe spararla in tribuna, ma non trova il coraggio e si limita ad appoggiarla a Francesco Valdes, anch’egli di sinistra, che segna a porta sguarnita. La farsa è compiuta, dunque. Ormai nello stadio però ci sono 18.000 persone che a qualcosa dovranno pur assistere, quindi ha luogo un’amichevole tra il Cile e il Santos (senza Pelè), vinta per 5-0 dai secondi.

Prima del Mondiale, Pinochet riceverà i giocatori della nazionale all’edificio Diego Portales. In quell’occasione c’è un solo giocatore che rifiuta il suo saluto, negandogli la stretta di mano. È Carlos Caszely, quello che proprio all’ultimo non trovò il coraggio di spedire in tribuna la palla della vergogna. Un atto di sfida semplicemente incredibile.

Il Cile al Mondiale uscirà al primo turno dopo aver perso per 1-0 contro la Germania Ovest e pareggiato 1-1 contro la Germania Est e 0-0 contro l’Australia. In occasione della partita contro la Germania Ovest, l’arbitro punisce Caszely con un cartellino rosso. Il cileno diventa così il primo giocatore della storia dei Mondiali a ricevere questo tipo di sanzione (i cartellini erano stati introdotti proprio in quegli anni).

I media cileni lo accusarono di essersi fatto espellere appositamente per evitare di giocare contro i suoi compagni di ideologia della Germania Est. Per l’Unione Sovietica, invece, gli avvenimenti dell’autunno 1973 daranno il via a un periodo di crisi. Al ritiro de facto dal Mondiale 1974 seguiranno la mancata qualificazione all’Europeo 1976, al Mondiale 1978 e all’Europeo 1980. Torneranno a prendere parte a una competizione internazionale solo nel Mondiale 1982, quando si fermeranno al secondo girone.

Chi ne uscì peggio di tutti, comunque, era la FIFA, che si era apertamente schierata dalla parte di Pinochet e che aveva forse definitivamente perso la sua residua innocenza. Quattro anni dopo, non per niente, in ebbe luogo il Mondiale del regime di Videla in Argentina, che passò alla storia come uno dei più controversi di sempre. Solo molti anni più avanti, invece, Carlos Caszely riesce finalmente a ottenere la sua vendetta nei confronti di Pinochet.

Nel 1988 in Cile ha luogo un referendum per decidere se proseguire con Pinochet per altri otto anni o tornare alla democrazia. I sondaggi sono molto combattuti, ed è lì che Caszely, ormai ritirato, decide di far valere la sua opinione, si presenta in uno studio televisivo e porta con sé tale Olga Garrido, che pronuncia un tagliente discorso.

Io sono stata sequestrata in casa mia e portata, da bendata, in un luogo sconosciuto dove sono stata torturata e violentata brutalmente. Le vessazioni sono state così tante che non le ho nemmeno raccontate tutte, per rispetto dei miei figli, di mio marito, della mia famiglia e di me stessa. Le tortura fisiche si possono dimenticare, quelle morali è impossibile”.

Olga Garrido

A quel punto prende la parola Caszely. “Perché la sua felicità, che sta per tornare, è la mia felicità. Questa bella signora è mia madre”. Nessuno aveva mai saputo che il regime avesse torturato la madre di Caszely, ma è possibile che ripescare quell’avvenimento proprio in quel momento storico abbia avuto un effetto concreto, perché il “no” vince il referendum con il 55.99% e in Cile convocano finalmente delle libere elezioni.”

Eric Cantona racconterà la storia di Caszely nella serie di documentari “Football Rebels”. Quattordici anni dopo la vergogna di Santiago, aveva finalmente vinto la sua partita, e con lui il popolo cileno.


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Di Federico Sanseverino

Nato nel 2005. Appassionato di calcio internazionale da quando durante il Mondiale 2010 iniziai, senza apparente ragione, a simpatizzare il Ghana.

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