2010, Neymar muove i primi passi nel calcio che conta davvero: segna la prima rete con il Brasile e diventa subito il simbolo di un ritorno al futebol bailado, marchio di fabbrica della Seleçao.
Ogni volta, la stessa storia.
Passaporto brasiliano, Santos come primo grande club, doti tecniche fuori dal comune.
Un nuovo, piccolo Pelè.
Robinho, l’ultimo in ordine di tempo, aveva ricevuto lo stesso trattamento mediatico quando, tra il 2002 ed il 2005, si divertiva a mandare ai matti difensori su difensori di tutto il continente sudamericano, facendo sognare un paese intero. Un’ottima carriera la sua, peraltro non ancora conclusa, un percorso avvolto, però, da una sensazione di incompiutezza, soprattutto con la Nazionale, nonostante abbia contribuito ad una storica vittoria nella Copa America del 2007, in una finale decisamente sbilanciata, per valori tecnici, a favore dell’Argentina.
Risultato finale, un inaspettato tre a zero per la Seleçao, con Robinho assoluto protagonista.
Neymar da Silva Santos Junior, nato il 5 febbraio del 1992 a Mogi das Cruzes, nello stato di San Paolo, cresce con le stesse, pesanti, aspettative.
O’Ney
“Può diventare più forte di me.”
Pelé
Ennesimo bacio della morte di O’Rey, maestro in campo tanto quanto nello sbagliare pronostici.
Anno 2010, il Brasile di Dunga è reduce dall’eliminazione dai Mondiali sudafricani, contro l’Olanda di Sneijder e Robben, un 2-1 con tanti rimpianti, costellato da errori tecnici evitabili. Robinho è il migliore dei suoi, comunque occorre un cambiamento, soprattutto, la crescita del diciottenne Neymar e il suo inserimento in Nazionale, rappresentano alcuni tra i capisaldi del nuovo ciclo del C.T. Mano Menezes.
Prima convocazione ed esordio, il 10 agosto, in un’amichevole contro gli Stati Uniti, finita 2-0 per i brasiliani, con il giovane fuoriclasse che segna, di testa, il suo primo gol in verdeoro.
Neymar si inginocchia, alza le braccia al cielo, la numero 11 splende.
Genesi mediatica di un campione
Il giorno successivo, sbarcati all’aeroporto di San Paolo, si scatena il delirio e, citando Christian Giordano, “emerse tra la folla la cresta irochese del nuovo re. Al suo passaggio, media e tifosi diventavano isterici. Nonostante la ravvicinata protezione di cani di grossa taglia, faticava a farsi strada, fino a sparire nel mini-van che lo aspettava fuori.”
In particolare, Neymar rappresentava un ritorno al futebol bailado, di cui i brasiliani sono innamorati, alla tecnica e alla voglia di divertirsi con il pallone lontana anni luce dallo stile eccessivamente cauto del precedente Commissario Tecnico Dunga, campione del mondo nel 1994 e capitano di una selezione forte in ogni reparto, non spettacolare, ma concreta, sul cui modello basò la sua rappresentativa.
Solo che, in occasione dei Mondiali del 2010, le cose andarono male sul più bello.
La rifondazione di quella tipologia di Brasile, amante del tocco e inarrivabile tecnicamente, doveva partire da Neymar e fondarsi sui suoi piedi: la Coppa del Mondo in casa distava quattro anni e occorreva vincerla, nel tentativo di esorcizzare la sconfitta del 1950 e l’isteria di massa immediatamente successiva alla disfatta contro l’Uruguay.
Il Maracanã era stato violato una volta, non sarebbe dovuto succedere di nuovo.
Invece, Neymar, ormai stella mondiale nell’universo calcistico, cade, vittima di un infortunio che poteva costargli caro, contro la Colombia.
Il Brasile non può averlo in semifinale e perde tutto: partita, onore, credibilità.
Senza il proprio capitano, Thiago Silva, privati dell’uomo della provvidenza, O’Ney, finisce 7-1.
Neymar piange come tutto il Brasile.
Il complesso dei vira latas, cani sciolti, ha colpito ancora e Neymar, a soli 22 anni, ne fu vittima incolpevole.
Su Sottoporta, tutto il meglio del calcio internazionale: Intervista a… Ivan Klasnić
Fonte foto di copertina: Instagram Neymar