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Johnny Giles, un doppio ruolo da leggenda

Dopo tre anni in Second Division, il West Bromwich Albion conquista la promozione nella stagione 1975/76, grazie alla guida del player-manager Johnny Giles, ex stella del Leeds United. Acquistato per 40.000 sterline, Giles diventa il terzo player-manager nella storia della First Division, un ruolo tanto raro quanto prestigioso.

Il 12 dicembre, una cena di gala ha celebrato l’eredità calcistica di Johnny Giles e il suo contributo leggendario al West Bromwich Albion. Un evento unico, dove storie e aneddoti di una stagione indimenticabile saranno il vero piatto forte, narrati dai protagonisti di quell’impresa. Tra loro, Tony ‘Bomber’ Brown, uno dei centrocampisti più pericolosi della sua epoca, autentica leggenda del club e miglior marcatore nella storia dell’Albion. 565 presenze 218 reti in diciassette anni di onorato servizio. Talmente un’icona che lo trovate nella Birmingham Walk of Stars tra Ozzy Osbourne e Nigel Mansell. E poi John Wile, il difensore che più di tutti ha versato sangue, sudore e lacrime per la causa del West Brom. La sua immagine iconica con una ferita alla testa sanguinante racconta, senza bisogno di parole, lo spirito battagliero di una carriera indomabile.

Aprile 1975. The Hawthorns, il cuore pulsante del West Bromwich Albion, sembra un cimitero. Le tribune, un tempo gremite di tifosi festanti, sono deserte. Il ruggito del pubblico un gemito soffocato. L’Albion, la squadra che aveva sollevato la FA Cup solo sette anni prima, era ai minimi storici.I quattro anni di gestione di Don Howe si concludono con un fallimento rovinoso e, alla sua partenza, i Baggies si trovano a un bivio: scegliere il suo sostituto è forse la decisione più importante che il consiglio dell’Albion deve prendere da almeno 30 anni.

Fortunatamente, il club era in buone mani e il presidente Bert Millichip realizza un colpo davvero notevole quando annuncia che l’Albion avrebbe formalizzato John Giles. Giles è un genio del pallone, uno di quelli capaci di leggere il gioco come un libro aperto. Nonostante l’età cominciasse a farsi sentire, il suo tocco magico non è svanito. E quando il tempo in campo iniziava a ridursi, lui aveva già un piano. A 34 anni, era pronto a trasformarsi in guida tecnica, portando la sua passione e la sua intelligenza calcistica direttamente al cuore della squadra.

C’è di più: Johnny Giles non sarà solo un allenatore, ma anche un giocatore, il primo player-manager nella storia del club. Ecco la mossa audace di cui l’Albion aveva bisogno. La sua presenza infonde nuova vita alla squadra e riaccende la speranza nei tifosi. Nonostante questo, all’interno della squadra c’era un misto di entusiasmo e incertezza. Tony Brown ricorda bene quel periodo di transizione.

“Non sapevamo cosa aspettarci da Giles. Veniva dal leggendario Leeds United, una squadra tanto temuta quanto odiata, famosa per il suo calcio spietato e calcolatore, spesso al limite della sportività. Il loro manager, Don Revie, era un genio ossessionato dal controllo: preferiva congelare le partite piuttosto che rischiare di chiuderle con stile. Persino Giles ammetteva che, con un po’ più di libertà, avrebbero dominato il calcio inglese senza rivali”.

L’idea di un giocatore-allenatore, così innovativa, suscitava curiosità, ma anche scetticismo. Alcuni si chiedevano se Giles non stesse cercando di fare il passo più lungo della gamba. Come sottolinea anche Len Cantello, bandiera dei Navy Blue and White.

“Era una mossa rischiosa. John non aveva alcuna esperienza manageriale e veniva direttamente dal giocare per il Leeds. Eppure, tutti nel mondo del calcio conoscevano la sua intelligenza tattica, la sua capacità di leggere il gioco e la sua leadership. Era il motore di molte delle vittorie del Leeds”.

La sua visione, unita alla capacità di gestire i ritmi delle partite direttamente dal campo, diede alla squadra un equilibrio che mancava da tempo. Persino Don Howe, l’allenatore uscente, riconobbe il valore del suo successore

“Quando ho lasciato, sapevo che il club era in buone mani. Avevamo sistemato molte cose, ma mancavano i risultati. Con John al comando, la differenza era che lui poteva ancora giocare: era l’ultimo tassello del puzzle. Se avessi avuto un giocatore come lui, probabilmente avrei potuto ottenere la promozione”.

L’inizio non è promettente: dopo dieci giornate, l’Albion è tra le ultime tre squadre in classifica. Tuttavia, Giles trasforma la squadra, imprime un nuovo stile di gioco che la porta a un’ascesa culminata nella vittoria decisiva contro l’Oldham, il 24 aprile 1976, con un gol di Tony Brown.

“La promozione? Il premio al nostro duro lavoro, ma che soddisfazione! Lasciare il Leeds è stata una delle scelte più grosse della mia vita, ma col West Brom è stato amore a prima vista”.

Johnny Giles

Giles sottolinea più volte l’importanza di aver lasciato il Leeds per affrontare questa nuova sfida. Nonostante le difficoltà iniziali, il cambio di regime porta sollievo a una squadra logorata da anni di delusioni. Per alcuni, come il portiere John Osborne, fu un nuovo inizio. Osborne ne aveva abbastanza della vita sotto Don Howe e aveva deciso di mollare tutto, non solo l’Albion, ma il calcio in generale. Voleva dedicarsi a qualcosa di completamente diverso, il che era uno spreco perché aveva solo 34 anni, un’età giovane per un portiere. John Giles conosceva bene Ossie per aver giocato contro di lui per anni, sapeva che si era a corto di portieri perché Peter Latchford era andato al Celtic e Bob Ward era ancora troppo giovane, quindi voleva tenerlo.

Alla fine, Giles lo convinse a non ritirarsi, lo mise in squadra e lo fece giocare bene, e Ossie disse in seguito che era stata la cosa migliore che gli fosse mai capitata. Deve essere stato uno sforzo non da poco perché Ossie era così depresso da non voler avere più nulla a che fare con il calcio. Ne aveva abbastanza, ma sotto John, giocò tutte e 51 le partite di quella stagione.

Johnny Giles, con la sua esperienza e la sua visione del gioco, non si risparmiava. Spesso lo si vedeva dirigere l’orchestra dal centro del campo, lasciando a Bryan Robson, il giovane talento, spazi più limitati. Ma Robson, con la sua grinta e la sua voglia di imparare, non si lamentava. Anzi, assorbiva come una spugna ogni consiglio del suo mentore. E così, il giovane Bryan Robson si ritrova per la prima volta nella sua carriera a calcare i campi della First Division. Per un talento così promettente, era solo l’inizio di un viaggio che lo avrebbe trasformato in una leggenda.

Robbo, con la sua grinta inesauribile e la capacità di trascinare la squadra sulle spalle, era destinato a lasciare un’impronta indelebile nel calcio inglese. La carriera di Joe Mayo invece è stata più un caso fortuito che un sogno d’infanzia: inizialmente destinato a diventare contabile, lavorava come apprendista alla Brookhouse Steel, di fronte allo stadio The Hawthorns.

Il ruolo di player-manager, un tempo molto popolare nel calcio inglese, ha sempre avuto un fascino unico e al tempo stesso controverso. Questa figura ibrida, capace di vestire i panni del leader in campo e del manager fuori, ha spesso diviso opinioni: come conciliare l’energia necessaria per giocare al massimo livello con la responsabilità di guidare una squadra? Non sorprende che l’equilibrio tra prestazioni atletiche e capacità gestionali abbia portato a risultati tanto sorprendenti quanto altalenanti.

L’esperimento del player-manager era audace, persino rivoluzionario, ma per l’Albion rappresentò il punto di svolta di cui aveva bisogno per tornare a lottare. Giles non solo cambiò il volto della squadra: la trasformò in qualcosa di più grande, restituendole la fiducia e la voglia di vincere.


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