C’era una volta una squadra d’oro, che non temeva avversari e poteva sconfiggere chiunque. C’era una volta la grande Ungheria.
Gustavz Sebes dirigeva le operazioni dalla panchina.
In porta, la pantera nera Grosics, il primo portiere a comportarsi da libero, uscendo dalla propria area e impostando il gioco con i piedi.
Linea difensiva a tre formata da Buzansky, Lorant e Lantos.
In mediana Zakarias correva per due agevolando l’impostazione di Boszik, ritenuto uno delle migliori registi di sempre per la capacità di dettare i ritmi del gioco.
Sulle ali Budai e Czibor, dallo scatto bruciante e dal mancino fatato.
Questi giocavano leggermente indietro rispetto ai colleghi delle altre squadre di quel periodo e, coadiuvate dal centravanti Hidegkuti, facilitavano gli inserimenti delle mezzali offensive, due tra i più prolifici bomber di ogni epoca: testina d’oro Kocsis -75 reti in 68 partite in nazionale- e Ferenc Puskas, uno che ha mantenuto una media di un goal a partita per un ventennio.
E un nome. Aranycsapat: la squadra d’oro.
La grande Ungheria
Questa era l’Ungheria, la Grande Ungheria che rimase imbattuta per quattro anni consecutivi dal 1950 al 1954.
Una squadra che segnò la bellezza di 143 reti in 32 partite a fronte di sole 33 subite.
Una corazzata che fu in grado di infrangere l’imbattibilità casalinga dei maestri dell’Inghilterra sconfiggendola per 6-3 a Wembley, e per 7-1 nella ripetizione, disputatasi a Budapest.
Ma anche una squadra che raccolse molto meno di quanto, a detta di molti, avrebbe meritato, e le cui sorti furono legate a doppio filo con quelle dell’Ungheria, all’epoca sotto il regime del filo-stalinista Bela Ràkosi.
Il metodo Sebes
Da giocatore Sebes fu un discreto centromediano dalle scarse doti tecniche, alle quali sopperiva con un grande atletismo.
Da allenatore ebbe l’intuizione di adottare un modulo a doppia M, variante del sistema WM allora in voga, allo scopo di facilitare gli inserimenti dei centrocampisti e di valorizzare le capacità di tessitura del gioco di Hidegkuti.
La differenza principale rispetto al 3-2-2-3 tipico del sistema consisteva nell’arretramento del centravanti per creare superiorità numerica sulla trequarti offensiva, formando una sorta di 3-2-3-2.
La mossa fu talmente rivoluzionaria che prima di adottare la nomenclatura di falso nueve propria del gioco di Guardiola, gli attaccanti che si comportavano in questo modo venivano definiti centravanti alla Hidegkuti.
La leggenda di Hidegkuti
Sulla sua trasformazione da ala destra a centravanti arretrato vi è persino una leggenda.
Si narra che inizialmente Hidegkuti non riuscisse a riproporre in nazionale quanto di buono realizzava con la maglia del Vorros Lobogo (ex MTK Budapest).
Sebes pensava che fosse a causa del diverso stile di gioco delle due squadre e dell’ansia che assaliva Hidegkuti prima di ogni partita.
Pertanto, prima di un match contro la Polonia, diede disposizioni per far giocare Palotas centravanti e affidò all’allenatore in seconda Mandi una busta, ordinando a lui e a Puskas di aprirla solo negli spogliatoi.
Quando Mandi la aprì, trovò all’interno un biglietto laconico che diceva che al posto di Palotas avrebbe giocato Hidegkuti.
Richiamato dalla tribuna e spedito frettolosamente in campo, l’attaccante segnò due goal e l’Ungheria vinse 5-1.
In seguito egli dichiarò che essendo sicuro di non giocare, alla vigilia della partita si era coricato benissimo.
Solitamente, invece, accusava problemi a dormire quando sapeva di avere un incontro importante il giorno seguente.
Fu così che Sebes trovò l’attaccante adatto per la sua squadra di campioni.
Al termine della sua esperienza in nazionale Hidegkuti avrà accumulato un rispettabile bottino di 39 reti in 68 incontri.
I primi anni ’50 e i Mondiali del 1954
Ispirandosi al Wunderteam di Hugo Meisl e all’Italia di Pozzo, Sebes costruì la propria squadra su due blocchi, con elementi della Voros Lobogo e otto titolari dell’Honved Budapest, la squadra dell’esercito.
I successi arrivarono grazie ad un gioco spumeggiante e votato all’attacco, in grado di mantenere una media di 4 reti a partita per quasi un decennio, dal 1949 al 1956. Schierare Kocsis e Puskas voleva dire partire già da 2-0, e spesso le poche occasione che la formidabile compagine magiara lasciava agli avversari si infrangevano sull’impenetrabile Grosics. Dopo due anni di rodaggio, la squadra stravinse le Olimpiadi del 1952 e inflisse due roboanti sconfitte all’Inghilterra, sfatando il mito dell’imbattibilità britannica. L’Ungheria giocava così bene che Vittorio Pozzo, CT della Nazionale italiana, asserì di non aver mai visto un calcio così spettacolare e la rivista tedesca Kicker scrisse che novanta minuti erano troppo pochi per un football così meraviglioso.
I magiari arrivarono ai Mondiali di Svizzera del 1954 da grandi favoriti e imbattuti da 4 anni, e sin dall’inizio non delusero le aspettative, schiantando la Corea del Sud 9-0 e rifilando un sonoro 8-3 alla Germania Ovest. Nelle successive due gare, valevoli rispettivamente per i quarti e per la semifinale, l’Ungheria si impose entrambe le volte per 4-2 contro i brasiliani e i campioni in carica dell’Uruguay.
La sfida contro i verdeoro, passò alla storia come battaglia di Berna per le numerose espulsioni e la rissa finale che caratterizzarono la partita.
Fu risolta da due intuizioni di Kocsis, i cui colpi di testa micidiali condanneranno alla sconfitta anche l’Uruguay nei tempi supplementari della partita successiva.
La finale di Berna tra i sospetti
La finale tra Ungheria e Germania Ovest andò in scena al Wankdorf di Berna il 4 luglio 1954.
Dopo appena otto minuti i magiari conducevano per 2-0 con le reti di Puskas e Czibor. Tuttavia nei minuti successivi Morlock accorciò le distanze e Rahn trovò il pareggio di testa su calcio d’angolo.
Il fatto che sulla rete del pareggio tedesco vi fosse una carica sul portiere non segnalata e l’utilizzo di due metri totalmente opposti da parte dell’arbitro fece sorgere i primi dubbi che qualcosa non stesse andando per il verso giusto, e numerose azioni di ripartenza degli ungheresi furono fermate per falli inesistenti.
Al minuto 84 la Germania passò in vantaggio con Rahn, e benché il solito Puskas avesse segnato la rete del 3-3 all’ultimo respiro, questa non venne convalidata tra la perplessità generale.
Ulteriori dubbi che la partita fosse stata truccata sorsero quando, poco tempo dopo la finale, alcuni giocatori tedeschi furono colpiti da un’infezione e, profondamente prostrati nel fisico, dovettero ritirarsi dall’attività professionistica. Gli ungheresi mossero un’accusa di doping, ma la FIFA si rifiutò di indagare e ufficialmente la faccenda finì lì. Tuttavia il sospetto che in vista della finale i giocatori tedeschi abbiano fatto uso di sostanze dopanti non svanì mai, anche in virtù del fatto che oltre metà dei titolari di quella partita non vissero fino a compiere settant’anni.
Il declino e la fine
Nonostante la sconfitta, l’Aranycsapat sembrava poter ripartire.
Sospinta dalle giocate del blocco dell’Honved che tanto bene stava facendo in apertura del campionato 1954/55, la squadra sembrava nuovamente inarrestabile.
Tuttavia la crisi politica generata dalla morte di Stalin gettò l’Ungheria nel caos e nel 1956 i sovietici invasero il paese, seminando morte.
Nello stesso momento, Puskas e compagni perdevano per 3-2 contro l’Athletic Bilbao nella neonata Coppa dei Campioni.
Al termine dell’incontro i giocatori si rifiutarono di tornare in patria e divennero esuli disperdendosi per l’Europa.
Alcuni fecero ritorno in patria da figliol prodigi dopo pochi anni, come Hidegkuti e Boszik.
Altri tornarono da presunti traditori e oppositori del regime come Grosics. Altri ancora raggiunsero la Spagna: Czibor e Kocsis andarono a giocare per il Barcellona, dove militava il connazionale Kubala.
Puskas invece si accasò a Madrid, sponda Real, dove rimase per otto anni vincendo tutto.
Fu la fine dell’Aranycsapat, e la nazionale magiara non riuscirà più a riproporre un calcio di quel livello.
A dirla tutta, solo poche squadre riusciranno a giocare in maniera emozionante come la Grande Ungheria degli anni ’50.
Tra queste ce n’è una che proprio dai maestri magiari mutuò i principi fondamentali, lo stile spettacolare e la capacità dei giocatori di ricoprire più ruoli e di aiutarsi a vicenda.
L’Olanda di Johann Cruyff.
Gli Oranje domineranno il panorama calcistico mondiale per buona parte degli anni ’70 con il loro spumeggiante totaalvoetball, il calcio totale.
E proprio come gli sfortunati ungheresi, anche gli olandesi vivranno una favola bellissima ma senza lieto fine.
Il loro sogno di gloria si infrangerà nuovamente in una finale mondiale, nuovamente contro la Germania.
Rimani aggiornato su tutte le news di Sottoporta.