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Milan Baroš, il Maradona di Ostrava

Secondo miglior realizzatore con la maglia della sua nazionale, idolo in patria – e non solo – negli anni Duemila, Milan Baroš è una leggenda del calcio ceco. Un calciatore estremamente romantico, con l’unica colpa di aver vissuto l’apice troppo presto.

È il 27 luglio del 2004. Nonostante si giochi di sera, all’Estadio do Dragão l’atmosfera è incandescente. La colpa non è solamente della torrida estate portoghese che accompagna questa edizione degli Europei. Fascia a legare i capelli neri, polsino bianco sul polso destro, numero 15 rosso in bell’evidenza sul petto: Milan Baroš aveva appena segnato il suo secondo gol. Danimarca schiantata 3-0, Repubblica Ceca trascinata in semifinale.
La corsa liberatoria sotto la curva occupata dai tifosi cechi, mentre esplode la gioia di oltre 41.000 spettatori. Baroš è appena entrato nella storia del calcio europeo, sicuramente non dalla porta di servizio.

I primi passi

Milan Baroš nasce a Valašské Meziříčí il 28 ottobre 1981, ma si stabilisce fin da piccolo nel vicino paese di Vigantice. Qui muove i suoi primi passi a livello calcistico, prima di essere scovato dagli osservatori del Baník Ostrava nel 1993. È l’inizio di un amore duraturo con il club rossoblu, con il quale Baroš ha aperto la sua carriera e la chiuderà al termine di questa stagione. Esordisce in prima squadra nel 1998 e già nel 2000 viene eletto Giovane calciatore ceco dell’anno, succedendo ad un giovane talento che all’epoca faceva faville con lo Sparta Praha, Tomáš Rosický.

Il 2001 risulta essere addirittura un’annata migliore: Baroš realizza 11 gol nelle prime 15 partite di campionato. Quanto basta per essere indicato da tutti i quotidiani boemi come “la stella più luminosa del calcio ceco“.
Non ha ancora 20 anni, ma tra club e nazionale Under 21 è già a quota 30 gol in poco più di 80 partite tra i professionisti.
Le sue doti tecniche e fisiche, nonché il suo naturale talento nel finalizzare, non passano inosservati ad Alex Miller, osservatore dei Reds.
Lo aveva già visionato durante un torneo giovanile pochi anni prima. Contatta subito il club del Merseyside.
Dopo due anni di attenta analisi, oltre 3 milioni di sterline vengono versate nell’estate del 2001 dal Liverpool per il giovanissimo talento del Baník.

La firma di Milan renderà il futuro del club sicuramente brillante. Lo descriverei come un giocatore forte e veloce. È un bracconiere del gol con una rapidità straordinaria.

Phil Thompson, vice di Houllier, sull’acquisto di Milan Baroš

L’arrivo ad Anfield

Ci vuole personalità per imporsi ad Anfield.
Soprattutto se ti ritrovi a lottare per una maglia da titolare con giocatori del calibro di Litmanen, Owen, Anelka, Heskey o The God Robbie Fowler.
Baroš arriva come oggetto misterioso e l’accoglienza che gli viene riservata dai tifosi non è delle migliori. Un altro centravanti, per di più palesemente fuori forma, come ammesso dall’attaccante stesso?
Con un reparto così pieno, è difficile, per il giovane talento, reclamare una maglia da titolare. Eppure Milan non si perde d’animo, si rimette in sesto e riesce a trovare grazie a Phil Thompson, vice di Houllier, anche la possibilità di esordire.
Il 13 marzo 2002, con il numero 5, Milan Baroš entra in campo al posto di Heskey e colleziona la sua prima presenza con la maglia del Liverpool.
Al Camp Nou.
Contro il Barcelona.
In Champions League.
Davanti a 75.000 spettatori.

Il 2002 è l’anno di Milan Baroš. Non solo arriva la prima convocazione in nazionale maggiore, ma inizia anche a ritagliarsi spazi importanti nel reparto avanzato del Liverpool, grazie alle partenze di Robbie Fowler e Jari Litmanen.
La prima partita di Premier League la disputa contro il Bolton Wanderers.
Il nervosismo della vigilia lascerà presto spazio ad uno dei ricordi più dolci della sua carriera da calciatore.
Prima presenza, prima doppietta e prima vittoria stagionale, per 2-3, del Liverpool.
Il boemo rischia di chiudere la prima stagione in Premier League in doppia cifra, raccogliendo 9 gol in in 27 presenze. Il suo talento inizia già a deliziare i palati fini ed esigenti della Kop.

L’infortunio

Come in qualsiasi storia che si rispetti, l’eroe deve attraversare delle sfide nel percorso che lo porti alla consacrazione.
È il 13 settembre del 2003, match ad Ewood Park, casa del Blackburn. Il Liverpool guadagna tre punti, ma è una vittoria di Pirro.
Arrivano 6 mesi di stop per Jamie Carragher, uscito in barella dopo uno scellerato contrasto del difensore dei Rovers, Lucas Neill.
Arrivano 5 mesi di stop anche per Baroš, il quale, dopo soli due minuti di gioco, si rompe la caviglia destra.
Inizia il calvario di Milan: il recupero lento e doloroso, la fisioterapia, la lontananza dal campo; come se non bastasse, Houllier non crede più in lui e decide di tenerlo in fondo alle sue gerarchie.
“Ero disposto a lasciare il Liverpool” avrebbe dichiarato in seguito l’attaccante.

Il periodo d’oro di Baroš

Ciò che non uccide ti fortifica. Lo sa bene Milan, che si appresta a disputare la prima competizione internazionale con la maglia della Repubblica Ceca, gli Europei portoghesi del 2004.
È forte la voglia di riscattarsi e di mostrare al mondo il suo talento.
Primo gol contro la Lettonia, firma del momentaneo 2-2 nella rimonta con l’Olanda, gol contro la Germania e una meravigliosa doppietta ai quarti di finale contro la Danimarca.
Dapprima uno scatto bruciante alle spalle dei difensori danesi, per concludere poi con un delizioso pallonetto ai danni di Sørensen.
Quindi, due minuti dopo, su geniale suggerimento di Pavel Nedved, un inserimento tra i due centrali e un micidiale mancino ad incrociare.
Prima di quell’Europeo, i bookmakers mettevano la sua vincita della Scarpa d’Oro quotata 66:1.
Non solo Milan chiuse da capocannoniere con 5 centri, ma si consacrò nell’Olimpo del calcio europeo. Non aveva ancora compiuto 23 anni.

The miracle of Istanbul

Eppure Milan non aveva ancora raggiunto l’apice.
Con le cessioni di Owen al Real Madrid e di Heskey, nella stagione 2004-05 i riflettori erano tutti su di lui ad Anfield Road. E Baroš non deluse le aspettative.
Miglior marcatore della stagione del Liverpool con 13 gol, di cui due in Champions League. Proprio nella competizione più prestigiosa d’Europa arrivò il maggior successo della sua carriera.
Il Liverpool riesce ad approdare in finale di Champions League dopo aver eliminato, in ordine, Bayer Leverkusen, Juventus e Chelsea.
A separare i Reds, nelle vesti degli underdog, dalla coppa dalle grandi orecchie c’è il Milan di Carlo Ancelotti.
Primo tempo devastante per il Liverpool: i rossoneri rientrano negli spogliatoi avanti di tre reti.

Secondo tempo: 54′ Gerrard, 56′ Šmicer, 60′ Xabi Alonso. Il Liverpool torna sul 3-3. Baroš è protagonista in occasione del terzo gol: un suo colpo di tacco propizia l’incursione di Gerrard e il successivo penalty in occasione del pareggio.
Ai calci di rigore, alla fine, vinse il Liverpool, in una delle finali di Champions League più clamorose di sempre. Baroš partecipò alle celebrazioni dalla panchina, dopo essere stato sostituito al minuto 87: aveva contribuito anche lui a quello storico trionfo.

Abbiamo viaggiato su un pullman aperto dall’aeroporto e lungo la strada probabilmente mezzo milione di persone ha applaudito in nostro onore. Due giorni dopo siamo tornati in città con la coppa e abbiamo festeggiato con un milione di tifosi. Ancora oggi, quando mi addormento, spesso ho quelle immagini davanti ai miei occhi.

Milan Baroš ricorda i festeggiamenti in occasione della vittoria del Liverpool,

Nuove avventure

La finale di Champions League fu l’ultima partita di Baroš con la maglia dei Reds. Chiuso dall’arrivo di Morientes, dopo 108 partite e 27 reti a Liverpool, nell’agosto del 2005 il ceco firma per l’Aston Villa.

Con l’acquisto di Baroš, per la prima volta dopo anni l’Aston Villa avrà un centravanti che potrà segnare in abbondanza.

The BBC, 23 agosto 2005

Numero 10 sulle spalle, accompagnato dalla classica fascetta e dal polsino bianco, Baroš va immediatamente in gol all’esordio contro il Blackburn in campionato.
Il copione sembra lo stesso di Liverpool, nonostante la stagione dell’Aston Villa sia estremamente deludente. Questo non impedisce a Baroš di conquistare subito l’affetto dei tifosi. Difficile, del resto, non essere amato in quella parte delle Midlands se realizzi una doppietta nel derby contro il Birmingham.

Chiuderà la stagione con 12 gol in 30 presenze, nonostante i Villans siano arrivati solamente al 16° posto in classifica.
L’anno successivo, il crollo: 17 presenze, 1 gol. Stesso copione di Liverpool.
Martin O’Neill, manager dell’Aston Villa, non ha la stessa pazienza di Houllier e nel gennaio 2007 lo cede all’Olympique Lyonnais. Percorso inverso farà John Carew, che scriverà delle pagine di storia indelebili con la maglia dei Villans.
I campioni di Francia già dopo la famosa finale di Champions del 2005 avevano tentato di acquistare il centravanti ceco, prima di essere superati dal club di Birmingham. All’epoca erano allenati da Gérard Houllier, proprio l’ex tecnico del Liverpool.

L’esperienza francese

Nonostante quel disgraziato secondo anno con l’Aston Villa, che sembrava gli avesse tarpato le ali, Milan Baroš continua a mostrare sprazzi del suo talento, a vincere e a contribuire alle fortune del suo nuovo club.
A Lione raccoglie 12 gettoni in campionato e realizza 4 gol, di cui uno al debutto contro l’Auxerre, conquistando da protagonista la Ligue 1 e la Coppa di Lega.
Eppure la sua esperienza francese viene offuscata dall’accusa di aver compiuto un gesto razzista nri confronti Stéphane M’Bia, calciatore del Rennes, in un match di campionato.
Nella stagione successiva vincerà un altro campionato e una Coupe de France, prima di tornare in prestito per 6 mesi in Inghilterra, al Portsmouth. E anche sul Canale della Manica colleziona un altro trofeo, quella FA Cup che non era ancora riuscito a vincere.

Una seconda giovinezza

L’esperienza più lunga e fruttuosa la vive, però, nello Stretto del Bosforo, dove, con la maglia giallo-rossa del Galatasaray, riesce a togliersi diverse soddisfazioni.
Ha 27 anni quando il club turco lo preleva a titolo definitivo dal Lione.
Ad Istanbul, Baroš colleziona 116 presenze totali in 5 anni, realizzando 61 gol e 18 assist. Nella stagione d’esordio viene addirittura eletto capocannoniere della Süper Lig, dopo aver realizzato 20 gol.

Ovviamente, anche in terra anatolica per Baroš arrivano dei trofei: un campionato, nel 2012, e una Supercoppa l’anno successivo.
Dopo una breve esperienza all’Antalyaspor, nel 2014 ritorna a giocare in patria.
Un anno al Mlada Boreslav, quello successivo allo Slovan Liberec, quello dopo ancora al Baník Ostrava. A 35 anni, il figliol prodigo era tornato a casa.
Proprio al Baník Milan ha deciso di chiudere la carriera nel luglio del 2020, non prima di aver regalato altri 16 gol in 58 presenze al club che l’ha lanciato tra i grandi più di vent’anni fa.

Il Maradona di Ostrava

Non bisogna dunque sorprendersi che Baroš sia ritenuto uno dei migliori calciatori della storia della Repubblica Ceca.
A cavallo tra il 2004 e il 2005, fu sicuramente uno degli attaccanti più forti e temuti d’Europa.
Il suo palmarès è invidiabile: un Europeo vinto con la nazionale ceca Under 21, una Champions League, una FA Cup, tre campionati tra Francia e Turchia, nonché 3 coppe di lega e 2 supercoppe nazionali, oltre a due titoli di capocannoniere, nell’Europeo 2004 e in Turchia.
Oltre 200 gol in carriera da professionista.
41 centri in 93 presenze con la nazionale maggiore, il secondo miglior marcatore della storia della nazionale, dietro solo al partner d’attacco Jan Koller.
Uno dei talenti più cristallini degli ultimi decenni, forse troppo incostante nella sua carriera, ma abbagliante quando era in forma.
Fondamentale nell’economia del gioco, nel costruire trame offensive e scompigliare le difese avversarie, nonché nel sacrificarsi per la squadra.

Quella di Milan Baroš è la storia di un ragazzo, nato in un piccolo villaggio cecoslovacco, che da piccolo sognava di ripercorrere i cammini di fuoriclasse come Stoichkov oppure Romàrio.
E non si limitò a sognare, ma emulò le gesta di quei campioni con fatica e spirito d’abnegazione già a vent’anni, in un ambiente così distante da quello di casa, non solo geograficamente.
Avrebbe potuto rendere sicuramente di più. Non è mai stata benevola con lui la sorte, che l’ha bloccato sempre sul più bello, prima che il suo talento sbocciasse completamente.
Ciononostante Baroš ha lasciato sempre un dolce ricordo nei propri tifosi ovunque sia stato, dal Merseyside al Bosforo, passando per il Rodano e l’Ostravice. Impossibile non averlo amato.
Questa è la storia del Maradona di Ostrava, questa è la storia di Milan Baroš.


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Foto di copertina tratta da: bbc.co.uk

Di Matteo Cipollone

Sempre alla ricerca di una storia particolare da raccontare, sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo da scoprire. Amo studiare storia e rimango affascinato da quello che essa ci offre. Accumulo libri e talvolta li leggo pure. Unisco due belle passioni: il calcio e la scrittura.

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